La Democrazia naufraga sulla ragion di Stato di Enrico Benedetto

La Democrazia naufraga sulla ragion di Stato La Democrazia naufraga sulla ragion di Stato S'arrende la nave dei dissidenti cinesi: nessuno concede l'attracco PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' un naufragio da ragion di Stato. Incagliata nelle secche dei grandi interessi commerciali e politici, la nave che intendeva portare la democrazia in Cina sulle onde radio ieri ha dovuto arrendersi. Dopo il «no» nipponico, il boicottaggio di Hong Kong e la ritirata taiwanese, non le era rimasto un solo porto amico in tutto il Sud-Est asiatico cui appoggiarsi. «Basta, vendiamo il battello a Taipei e rimpatrieremo l'equipaggio in Francia» ha dichiarato da Tokyo Pascal Dupont, uno degli organizzatori. Sulla «Dea della Democrazia» sventola quindi bandiera bianca. La solidarietà occidentale dei primi giorni ha ceduto il posto - dietro le massicce pressioni cinesi - a disinteresse, fastidio, supponenza. E Pechino vince finalmente la sua battaglia: il 4 giugno nessuna venuto a interrompere una guerra ideologica quarantennale fra acerrimi nemici, la «Dea» con tutte le sue migliori intenzioni ha giocato la parte del guastafeste. Così solo qualche giorno fa il regime marxista, defineiido «sovversivo» il battello, minacciava Formosa di rappresaglie se l'avesse rifornito una seconda volta con «aperta provocazione». I politici di Taiwan hanno ceduto: fatta salva la «simpatia» per l'iniziativa libertaria, «motivi giuridici» impediscono ulteriore assistenza. Quali? Una convenzione vieta di trasmettere da acque internazionali, proprio quello che la «Dea» si accingeva a fare. Sono le stesse ragioni dietro cui ha potuto barricarsi l'altro ieri Tokyo, ugualmente ansiosa di non turbare il buon vicinato con Pechino, specie dopo il monito ricevuto sabato dalle autorità comuniste. La nave era attesa per questa set¬ trasmissione «pirata» disturberà più la radio di regime rievocando la Tienanmen. Ieri pomeriggio, in rue Lecourbe 167, rabbia e sgomento erano tangibili. Qui ha sede l'«Europe Journal», il quotidiano cinese di contro-informazione che negli ultimi mesi ha fatto un po' da trait d'union fra l'iniziativa e i suoi 19 sponsor internazionali. Nicolas Druz, il direttore, è ancora a Taiwan, dove aveva voluto recarsi d'urgenza per raddrizzare una situazione già compromessa. Gli uomini dello staff si sfogano: «Potevamo aspettarci mi rifiuto da Hong Kong, perché la colonia inglese attraversa una fase delicatissima, ma Taipei ci ha tradito, e per denaro». Sono sette miliardi di dollari, circa diecimila in lire. Pechino - sostengono i dirigenti cinesi - li sta versando a Formosa per import di materiale e tecnologie plastici. In quest'idillio mercantile timana in un porto nipponico, ma il portavoce governativo, dopo una lunga ispezione doganale a bordo, mercoledì ha fatto eufemisticamente sapere che «non sarebbe la benvenuta». «Da queste parti - commenta Dupont - la cinica logica dell'economia e della politica prevalgono sulla morale, l'informazione e le libertà». L'equipaggio (tecnici, operatori, giornalisti, ma anche dissidenti riparati in Francia) aveva già registrato centinaia di programmi, un modo - tra l'altro - per alleviare la tensione nella traversata La RochelleTaipei, 68 giorni. Tutto inutile. Pechino non ha mai escluso il ricorso alla forza per imbavagliare la «Dea»: forse nel timore di venirne in aiuto se attaccata, destando l'inevitabile ira cinese, Tokyo e Taiwan hanno preferito affondarla direttamente. Enrico Benedetto

Persone citate: Nicolas Druz, Pascal Dupont