Caso Palermo il giudice convoca Orlando di Francesco La Licata

All'ex sindaco ascoltato a Caltanissetta chieste le prove di eventuali responsabilità dei magistrati All'ex sindaco ascoltato a Caltanissetta chieste le prove di eventuali responsabilità dei magistrati Caso Palermo, il giudice convoca Orlando Interrogato dopo le accuse sui ritardi nelle indagini antimafia PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Orlando contro i giudici palermitani. Comincia la resa dei conti, dopo l'intervento dirompente del Capo dello Stato. Atto primo: l'ex sindaco convocato dal procuratore di Caltanissetta. Tre ore d'interrogatorio. Un colloquio che si è reso necessario in seguito all'appello che Cossiga ha lanciato a tutte le forze istituzionali, alla ricerca della «chiarezza», contro i «polveroni» e gli «inquinamenti portati a volte ai limiti dell'irresponsabilità». Così, ieri pomeriggio, a Caltanissetta, in un Palazzo di giustizia semideserto, è arrivato il corteo di macchine blindate, con un piccolo esercito a protezione dell'ex sindaco, in veste di testimone. La trasferta è da mettere in relazione alle accuse lanciate da Orlando a. «Samarcanda», a proposito delle inchieste sui delitti politici e dei ritardi della magistratura. Ed è lui stesso a con¬ nazionale, vìnce La Malfa fermarlo, sottolineando di essere stato convocato per «essere ascoltato in merito a eventuali responsabilità di magistrati palermitani per le affermazioni da me fatte». Essendo i giudici di Palermo parte in causa, si capisce perché la convocazione sia arrivata dal procuratore Salvatore Celesti. Un invito, tuttavia, ancora da decifrare, anche se certamente suona come un richiamo ufficiale ad assumersi le responsabilità delle sue gravi affermazioni. La precisazione non è superflua se si pensa che, soltanto poche ore prima, nella mattinata, a Palermo, in quel Palazzo dei veleni, si era svolta una commedia delle parti che rappresentava il clima forzatamente sereno di una magistratura nuovamente compatta, non più disgregata dalle faide, ottimista e orgogliosa per i giudizi espressi dal Capo dello Stato. Una battuta gettata lì, quasi distrattamente, offerta sotto forma di riflessione su «ciò che A un anno dalla protes adesso, dopo il severo monito del Presidente della Repubblica, potrebbe accadere». Nessuna ricetta precostituita; solo previsioni rivelatesi facili: «In qualche procura potrebbe aprirsi un'inchiesta contro Orlando». Per quale colpa? Pronta la risposta: «L'ipotesi di reato potrebbe essere vilipendio delle istituzioni e della magistratura». I magistrati del Palazzo dei veleni, pur puntualizzando che una «simile iniziativa non potrebbe mai, per ovvi motivi, venire da Palermo», non escludevano già in mattinata che per Orlando potesse arrivare la resa dei centi. Sereno il procuratore generale Vincenzo Pajno, uno dei quattro chiamati a rapporto al Quirinale. «Ero contento quando ho saputo dell'intervento del Presidente, figuriamoci adesso che viene dato atto della serietà e dell'impegno al limite del sacrifìcio dei magistrati palermitani». E il sostituto Guido Lo Forte giudica il monito di Cossiga «un insegnamento alto e rigoroso sul modo in cui, in uno Stato di diritto, deve essere condotta la lotta alla mafia». I magistrati di Palermo mostrano di non dare molta importanza alle maldicenze. Il giudice Natoli, titolare dell'inchiesta sull'omicidio Mattarella: «Non c'è tempo da perdere. Ci sono cinque mesi per chiudere le inchieste e un'estate di mezzo. A pensarci sudo freddo». Perplesso Leonardo Guarnotta: «Il caso Palermo è solo all'inizio». Tutti d'accordo, dunque? Tutti contenti? Non lo è Giuseppe Di Lello, che in passato si è distinto per alcune posizioni critiche nei confronti del pool antimafia. «C'è un'esplosione di ottimismo e, con amarezza, la giudico immotivata perché in realtà stiamo assistendo all'inizio di un'altra estate di veleno che non vedrà né vincitori né vinti, ma delegittimerà ulteriormente il fronte antimafia. Chiunque gioisca per questa vittoria di Pirro dimostra di non avere compreso la gravità dello scontro». ta sulla Tienanmen prevalgono interessi economici e paura di Pechino Uno scontro che non accenna ad ammorbidirsi. Sempre ieri l'ex sindaco, tornato all'università dopo cinque anni di assenza per esaminare undici studenti del suo corso di laurea (Diritto pubblico regionale), ha confermato quanto aveva detto a «Samarcanda», aggiungendo: «Sono tornato a fare il professore, ma solo per poco», e lasciando intendere che rifarà il sindaco. Ha ripreso l'argomento criminalità, affermando che Cossiga ha inteso esprimersi «a favore di quanti, nello Stato, vogliono combattere la mafia». Ha definito il documento del Presidente «importante, storico, venuto non dopo un delitto o un funerale, ma dopo una denuncia politica». Dalla sua parte si sono schierati i familiari delle vittime della mafia: «Ha dato voce al bisogno di verità e giustizia». Francesco La Licata SERVIZI DI G. Bianconi A. Minzolinl e P. Passerini A PAGINA 3