Una trappola contro il cancro

Linfociti prelevati dai tumori e reiniettati trasportano farmaci sulle cellule malate Linfociti prelevati dai tumori e reiniettati trasportano farmaci sulle cellule malate Una trappola contro il cancro Nuova tecnica annunciata dal medico diReagan Prelevare linfociti da un tumore, moltiplicarli in laboratorio, caricarli di un fattore capace ci distruggere le cellule tumorali, infine reiniettarli nel malato: i linfociti si dirigeranno verso il tumore, vi penetreranno e come il cavallo di Troia lasceranno uscire gli aggressori che andranno a colpire in modo molto selettivo le cellule malate. Questa, ridotta al nocciolo, l'ultima, rivoluzionaria strategia contro il cancro sperimentata in America e rivelata ieri dal capo dell'equipe che l'ha messa a punto, il dottor Steven Rosemberg, nel corso di un convegno dell'Associazione americana per la lotta al cancro in corso a Washington. L'aspetto rivoluzionario della ricerca del team Usa sta nell'aver accertato che i linfociti prelevati dal tumore riconoscono la strada per ritornare ad esso e si prestano a diventare il veicolo della sua distruzione mediante una terapia genetica, cioè condotta con mezzi biologici. Rosemberg è un personaggio molto noto anche fuori dall'ambiente medico; chirurgo, ma con un forte interesse per la bioingegneria, è stato tra l'altro il medico di Ronald Reagan, che ha operato di cancro al colon. La scoperta annunciata ieri è il frutto di una ricerca che porta avanti da sei-sette anni. Ne aveva accennato anche il 10 maggio in una relazione ad un convegno medico a Santa Margherita. «Sono rimasto fortissimamente impressionato - dice il professor Sergio Romagnani, docente di immunologia clinica all'università di Firenze -; quella di Rosemberg è una strategia da guerre stellari, perché mette insieme tutta una serie di innovazioni ottenendone un potenziale eccezionale». La strada battuta da Rosemberg costituisce la reazione al fallimento ormai decretato dai maggiori studiosi di oncologia delle terapie immunologiche che tante speranze avevano suscitato fino a 7-8 anni fa. Sei anni fa egli aveva imboccato la strada della cura dei tumori con mezzi biologici utilizzando cellule Lak e interleuchina 2; prelevava cioè dal sangue cellule del sistema immunitario, le moltiplicava in laboratorio e le reiniettava nei malati; con questo sistema aveva conseguito remissioni importanti parziali o complete anche in malati molto gravi, risultati giudicati molto importanti anche se ottenuti su una percentuale piutto¬ Oggi nuovi controlli della Sanità scattati dopo una telefonata anonima sto limitata di pazienti. Ma la cura, ripetuta anche fuori degli Stati Uniti e anche in Italia, era enormemente costosa, aveva effetti collaterali molto gravi e richiedeva strutture complesse. La nuova strada proposta parte dall'esperienza precedente. Non si tratta più di prelevare linfociti semplicemente dal sangue ma dal tumore stesso; questi, dopo essere stati moltiplicati in laboratorio hanno dimostrato di saper tornare al tumore stesso. A questo punto nei linfociti, che sono le cellule destinate a impedire proprio che si scateni la proliferazione abnorme delle collule cancero¬ gene, viene reso attivo il gene Tnf alfa (tumor necrosis factor) che li induce a sercernere l'interleuchina all'interno del tumore stesso; questa attacca le cellule tumorali. Se l'interleuchina somministrata in modo indifferenziato aggredisce sia le cellule tumorali sia quelle sane in questo modo, secondo Rosemberg, agisce in modo mirato con un'efficacia distruttiva maggiore e senza effetti collaterali. «La strada battuta da Rosemberg - dice il professor Paolo Comoglio, ordinario di istologia all'università di Torino - è la ovvia applicazione, in campo oncologico, di una tecnica, quella del trasferimento di geni, che è già largamente applicata con successo in altri campi della ricerca, per esempio sugli animali e sulle piante». L'intuizione è quella dì utilizzare i linfociti tumorali che hanno la proprietà di riconoscere la strada del tumore. Lo stesso Rosemberg ha sottolineato che in questa fase di ricerca i linfociti erano stati caricati di un gene che non era destinato ad avere alcun effetto sul tumore. In sostanza, come sottolinea anche il professor Fabio Malavasi che ha seguito con attenzione il lavoro dell'equipe americana, in questa fase voleva solo sapere se sarebbero riusciti a colpire ii bersaglio-tumore, «perciò li ha per così dire contrassegnati con delle bandierine per seguirne il percorso e ora ci dice che la risposta è stata positiva». Malavasi sottolinea anche che è la prima volta che viene concessa l'autorizzazione ad usare su pazienti cellule manipolate con l'ingegneria genetica. In effetti Rosemberg ha ottenuto a tempo di record l'autorizzazione di almeno una decina di commissioni, molto guardinghe prima di dare il via ad una procedura che comportava una manipolazione delle cellule; l'ultima autorizzazione è stata ottenuta solo in aprile e subito è partita la sperimentazione, che si è svolta su sette pazienti gravi. Bisogna sottolinearlo, per non creare dolorose illusioni: Rosemberg non ha annunciato una cura, ha illustrato una nuova strategia. Non ha neanche riportato dati clinici, che probabilmente non esistono ancora o che lo stesso ricercatore non ritiene ancora probanti. «Dobbiamo aspettare quelli» dice Romagnani. - Vittorio Ravizza

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