«Abbiamo aggredito la Corea nel 1910»

«Abbiamo aggredito la Corea nel 1910» GIAPPONE Il primo ministro nipponico alla vigilia dell'incontro con il presidente Roh Tae-woo «Abbiamo aggredito la Corea nel 1910» Lo ammette Kaifu, ma Seul pretende le scuse dell'Imperatore TOKYO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La visita del presidente sudcoreano Roh Tae-woo, che arriva domani, fa rivivere i fantasmi del passato giapponese, riportando in primo piano lo stretto legame con quel passato militarista che il Giappone di oggi ha superato ma dal quale non riesce a congedarsi. L'arrivo dell'ospite è preceduto da una forte polemica interna e tra i due Paesi su un problema che l'Europa, congedatasi dall'età dei totalitarismi, ha da tempo superato: se l'aggressore di ieri debba riconoscere i propri torti verso la vittima di allora. La Germania di Bonn, tormentata dal «passato che non passa», lo ha fatto da tempo, la Ddr lo ha fatto con un documento verso gli ebrei. Da parte coreana, si chiede questo riconoscimento per chiudere i conti col passato. Ma il Giappone, che invase la Corea annettendola nel 1910, non si decide. Tutti d'accordo gli esponenti politici per esprimere rammarico. Ma nulla di diretto e men che meno da parte dell'imperatore, che rimane il simbolo del Paese. In un dibattito alla Dieta l'altro giorno, per la prima volta un primo ministro, Kaifu, ha avuto parole coraggiose ma generiche sulla guerra: «Dobbiamo riconoscere che c'è stato un atto di aggressione». Ma il segretario del partito liberaldemocratico al potere ha puntualizzato: «Vada per le scuse, ma non dobbiamo prostrarci». I coreani vorrebbero che a parlare fosse l'imperatore, proprio per la sua centralità nella mentalità nipponica. Il partito al potere si rifiuta, accampando limiti costituzionali per i quali egli non può politicamente esprimersi. Ma sei anni fa Hirohito, ricevendo il precedente capo di Stato coreano, manifestò «rammarico per lo sfortunato passato», lasciando nel vago le reponsabilità giapponesi. Quelle parole erano state preparate personalmente da Nakasone e avevano suscitato un forte dibattito interno. . Adesso che ci si aspetta qualcosa di più, ci si aggrappa a scrupoli costituzionali per non far parlare il sovrano. E' stato così deciso che Akihito dirà qualcosa, ma in termini che non suonino come una sconfessione totale del passato, in ima cerimonia il cui testo si sta ancora concordando con Seul. Qualcosa di più a nome del governo lo dirà Kaifu nei due colloqui con l'ospite e qualcos'altro sarà aggiunto dai presidenti delle Camere. Kaifu si scuserà «per le sofferenze e i dolori» dei coreani, ma non si sa ancora quanto lui e gli altri si spingeranno a precisare responsabilità giapponesi. Un funzionario degli Esteri, ieri, richiesto come mai sei anni fa non erano sorti problemi costituzionali per le sia pur vaghe parole di Hirohito, si è lasciato sfuggire che la Corea del Sud di oggi è diversa, democratica, con una stampa vigorosa che chiede al Giappone di riconoscere i suoi torti. Come per dire che se i coreani non avessero fatte queste richieste, Tokyo non si sarebbe posta il problema. I coreani vorrebbero una sola parola da parte del sovrano: «Sumimasen», scusateci. Un'espressione che da queste parti mette in stato di inferiorità chi la pronuncia. E a questo la Tokyo odierna, ricca e potente, non è disposta. Esprimerà rammarico. Ma difficilmente riuscirà a fugare il sospetto che, come dice un esponente di Seul, «l'unico suo vero rammarico è di aver perso la guerra». Fernando Mozzetti

Persone citate: Akihito, Fernando Mozzetti, Kaifu, Nakasone