Nel ghetto Per la salvezza di duecento bambini

Nel ghetto Nel ghetto Per la salvezza di duecento bambini CANNES. Fare un film su un intellettuale ebreo eroico sino alla santità, oggi, nella Polonia papista e attraversata come altri Paesi europei dal neoantisemitismo, che per decenni ha censurato ogni tematica ebrea nell'arte, sarà uno di quegli atti di coraggio non inconsueti per il cattolico Andrzej Wajda, regista de «L'uomo di marmo» e di «Senza anestesia»? Henryk Goldzmit, medico, educatore, riformatore della pedagogia, direttore d'un orfanotrofio e scrittore che usava come pseudonimo il nome dell'eroe d'un romanzo storico polacco, Janus Korczak, nel 1940 dell'invasione nazista della Polonia restò con i suoi duecento piccoli orfani prigioniero nel ghetto di Varsavia, con loro venne deportato nei vagoni blindati al campo di Treblinka, con loro venne ucciso nelle camere a gas: «Questo fatto è inaccettabile in eterno». «Korczak», film semplice, tragico e commovente, meravigliosamente interpre¬ tato da Wojtck Pszoniak, benissimo fotografato in bianco e nero (con alcuni brani documentari) da Robby Muellcr, non somiglia a tante altre opere nobili e probe sullo sterminio degli ebrei. E' invece un ritratto d'eroe disarmato, tragicamente impotente di fronte alla Storia eppure irriducibilmente deciso a contrastarne con coraggio intellettuale, dignità e bontà gli eccessi più feroci: Korczak rifiuta di portare il bracciale con la stella di David; rifiuta la selezione con cui gli stessi dirigenti ebrei del Ghetto vorrebbero sacrificare i vecchi a favore dei giovani, i malati a favore dei sani; rifiuta la possibilità più volte offertagli di salvare la propria vita. Si batte senza stanchezze per nutrire i bambini, per calmarne i patimenti, per preservarli dall'abbrutimento quotidiano, per render loro familiare il pensiero della morte, per indurli a non piegare la testa: alla partenza per il viaggio finale verso Treblinka li vuole or- dinati in file esatte, calmi, preceduti da un alfiere con la bandiera ebraica, anziché come un gruppo di vittime vinte e supplicanti. Wajda, già autore de «I dannati di Varsavia», racconta insieme con il suo eroe santo la vita d'ogni giorno del Ghetto, anche negli aspetti meno noti: i profittatori ebrei arricchitisi sulla morte e le loro serate in un atroce locale notturnoosteria interno; la violenza dei poliziotti polacchi collaboratori dei nazisti; la passiva vocazione al compromesso dei dirigenti della comunità ebraica, e la rivolta violenta dei giovani ebrei che anche all'interno del ghetto vorrebbero combattere prima di morire. Chi usa con facilità i termini «ghetto» e «ghettizzare», forse smetterebbe dopo aver visto «Korczak», e c'è da augurarsi che almeno adesso risulti confermata la previsione dell'eroe: «Credo che mai più un polacco perseguiterà un suo fratello perché è ebreo».

Persone citate: Andrzej Wajda, Henryk Goldzmit, Janus Korczak, Korczak, Robby Muellcr, Wajda

Luoghi citati: Polonia, Varsavia