Quando Ferrini urlava «Toro!» in triestino di Gian Paolo Ormezzano

Quando Ferrini urlava «Toro!» in triestino Quando Ferrini urlava «Toro!» in triestino La storia «legata» delle due squadre: Grezar, Maldini, Rocco... TRIESTE DAL NOSTRO INVIATO Il Torino cerca la serie A matematica a Trieste, città che ama calcisticamente il Torino e che al triestino Pino Grezar, uno di quelli di Superga, ha intitolato lo stadio di Valmaura. Città di umori e sapori calcistici simili a quelli granata: tanto è vero che l'allenatore friulano Giacomini, reduce dal Torino, al direttore sportivo Marchetti, ex giocatore della Juventus, il quale predicava per la società lo stile bianconero, ebbe a dire: «Noi dobbiamo avere lo stile del Toro, grinta e gioventù». E più che mai parlava così Marino Lombardo, sostituito in questa stagione dal «tornante» Giacomini; Lombardo terzino del Torino scudettato 1976, un altro a legare i due club. Più che un filo forte, è una vera e propria corda sentimentale quella che unisce il calcio triestino a quello di Torino. Grezar, abbiamo detto: elegante, preciso. Era definito «la gazzella», ma una volta contro l'Alessandria, per un sensazionale 10 a 0, sparò in porta da metà campo, raccogliendo un rinvio del portiere, fu gol e si disse che tutta la bora di Trieste era arrivata al Filadelfia, in quel momento, per far volare il pallone ed aiutare il figlio della città giuliana. Poi fu granata per una stagione, l'ultima, comunque intensa, Cesare Maldini, che arrivava dal Milan, stesso viaggio di Nereo Rocco che a Torino, al Toro, si fermò abbastanza a lungo, lasciandovi segni profondi. Rocco raccontava Trieste magica ai giovani cronisti torinesi arrivava a sostenere ch'j anche i vini di Trieste erano i migliori del mondo. Ma il nome massimo del rapporto calcistico Trieste-Torino è stato quello di Giorgio Ferrini. Triestino e di un quartiere dei più popolari della città, Ferrini arrivò ragazzino al Toro (dalla Ponziana, non dalla Triestina), per fare il calciatore: sempre rimase triestino di parlata, di passioni, di canzoni, di allegrie, ma intanto riuscì a essere il simbolo forte, totale della squadra granata. «E' lui il trenta per cento del Torino», diceva Boniperti che in Ferrini aveva visto reincarnarsi un bel po' di Valentino Mazzola. Portato via da uno scoppio nel cervello di una bomba di sangue, Ferrini sta fìtto forte nel cuore e negli occhi di tanti. Altri uomini stanno nella storia mista delle due squadre: Petris e Mazzero e un meteorico Varglien, il terzo, vennero al Tonno da Trieste, per i primi due si scomodò il paragone terribile, Mazzola e Loik (e Loik era fiumano, quasi triestino), fu una specie di zavorra che li penalizzò, anche se erano bravi. Poi una stasi negli scambi, adesso è arrivato al Torino Romano, che prima di andare al Napoli aveva fatto quattro anni di Triestina, ed è arrivato a Trieste Lerda, prodotto del Filadelfia. Romano nel 1984 era stato voluto in granata da Radice, «già avevo traslocato i mobili da Trieste alla mia casa di Reggio Emilia, in attesa di trovare l'appartamento a Torino, poi tutto finì, non so perché». Considera Trieste la città più cara del suo vagabondaggio, «ho amici, gente che ama il calcio senza inquinarlo di tifo cattivo». In maglia rossoalabardata giocò contro il Torino in Coppa Italia, a Trieste, «1 a 1 e noi sbagliammo un rigore all'ultimo minuto». Non ha conosciuto la bora vera, «quella che costringe a camminare tenendosi a corde tese, i vecchi dicevano che la bora di una volta non c'è più». Fotse oggi qualche gruppo di tifosi gli dà una medaglia. Dice Carlo Milocco, il segre¬ tario della Triestina: «C'è un feeling. Dei due triestini campioni del mondo nel 1934, Colaussi qui veniva detto juventino e Pasinati granata, per loro caratteristiche di gioco e di spirito: la nostra gente amò di più il secondo, temperamentale, ardente. Vorremmo fare festa per il Torino in A, ma purtroppo stiamo cercando punti per la salvezza». Oggi ci sarà, in qualcuno, forte fibrillazione sentimentale, per motivi assortiti, personali e globali. La Triestina è squadra nobile, cantata da Umberto Saba e, altra roba, Endrigo. Quando era grande, il Toro era grandissimo, ci furono sempre incontri caldi, fieri, però mai bollenti da ustionare anche i sentimenti, il rispetto, la stima. I Ferrini hanno sempre giocato nelle due città, anche prima di nascere e dopo di morire. Gian Paolo Ormezzano