Perché il virus Aids fa paura allo sport

Perché il virus Aids fa paura allo sport MEDICINA Perché il virus Aids fa paura allo sport Q UALCHE tempo fa l'Organizzazione mondiale della sanità e la Federazione internazionale di medicina sportiva organizzarono a Ginevra un incontro sull'Aids e lo sport. Vi parteciparono fra gli altri rappresentanti della commissione medica del Comitato internazionale olimpico, della Federazione internazionale di lotta libera, del Comitato internazionale di rugby, nonché diversi specialisti della epidemiologia e della prevenzione dell'Aids. Risultò da tale consultazione che tanto sul piano medico quanto su quello della salute pubblica nulla giustificherebbe di sottoporre gli atleti ad esami, o ad un test di sieropositività per il virus dell'Aids, prima di prendere parte ad una qualsiasi attività sportiva. Tuttavia si convenne che coloro che sapevano di essere sieropositivi avrebbero dovuto consultare un medico per conoscere se potevano continuare a praticare uno sport, e questo sia per valutare i pericoli ai quali potevano andare incontro nei riguardi della propria salute, sia per giudicare il rischio, estremamente tenue ma teoricamente possibile, di trasmettere il virus. Era la prima volta che la questione dell'Aids e dello sport costituiva l'oggetto di un dibattito internazionale. L'accordo unanime sul pericolo in teoria estremamente esiguo di trasmettere il virus sia pure praticando uno sport violento o uno sport di combattimento, possibile causa di ferite sanguinanti, dovrebbe tranquillizzare il mondo sportivo. Ma ecco che una comunicazione di medici d'un ospedale di Varese all'autorevole settimanale inglese «Lancet», esprime il dubbio che un contagio sia avvenuto. Si trattava di una partita di calcio in un centro di recupero per tossicodipendenti, durante la quale due giocatori si erano scontrati producendosi una lesione sanguinante al capo. Due mesi dopo uno di essi, un volontario che prestava servizio nella comunità, risultò sieropositivo. Secondo i medici dell'ospedale era probabile che un contagio fosse avvenuto attraverso il sangue. Forse sarebbe corretto parlare piuttosto di possibilità che di probabilità. Come si è detto prima, teoricamente il contagio è ammissibile, ma anzitutto si ignorava se il sieropositivo fosse sieronegativo al momento della partita (lo era un anno prima). In secondo luogo gli esperti ritengono poco credibile che in casi del genere possa avvenire una contaminazione da parte del sangue infetto, tale da causare la trasmissione del virus. Comunque sia il caso meriindubbiamente di essere; Co: I ta in seguito e approfondito per quanto è possibile. Finora non esiste alcun episodio documentato di passaggio del virus da un individuo ad un altro tramite attività sportive, ma bisogna ammettere che un rischio, sia pure molto tenue, esiste quando un atleta sieropositivo, con una lesione sanguinante, entra in contatto diretto con un altro atleta avente anch'egli una lesione che offra una porta d'ingresso al virus. Nella riunione di Ginevra è stato detto che agli atleti, ai responsabili e al personale delle società sportive, dovrebbero essere date informazioni sull'Aids e fatte particolari raccomandazioni. In sostanza le lesioni risultanti dalla pratica di uno sport da combattimento implicante un corpo a corpo, o comunque di sport con rischio di sanguinamento, dovrebbero essere immediatamente trattate con un disinfettante appropriato e poi medicate con cura. Un atleta con una lesione che sanguina deve interrompere la gara fino a che il sanguinamento sia cessato e la lesione sia stata disinfettata e medicata opportunamente. Tutte le associazioni sportive devono essere al corrente di queste norme. E ciò potrebbe anche essere l'occasione di rivedere le misure di igiene generalmente applicate allo sport. Che il sangue sia uno dei veicoli più importanti del virus dell'Aids è ben noto, e tutti sanno che le trasfusioni di sangue infetto, eventualità per fortuna oggi rara, e l'uso di siringhe sporche di sangue, purtroppo tutt'altro che raro, rappresentano le occasioni della trasmissione di questo tipo. Per fortuna il virus dell'Aids è fragile, sopravvive molto òrficamente e per pochissimo tempo nell'ambiente esterno. In secondo luogo, per provocare un'infezione la trasmissione richiede almeno una certa quantità del virus e, da parte dell'organismo che la riceve, una condizione di indebolimento quale per esempio essere dediti alla droga. Tutto questo sembra essere lontano dall'eventualità di un contagio fra cultori degli sport. D'altronde pensiamo ai medici, gli infermieri, i ricercatori, i tecnici di laboratorio, che sono in contatto quotidiano con i pazienti, i loro liquidi organici e il loro sangue. Negli Stati Uniti circa due milioni di persone appartenenti al personale sanitario, venute incidentalmente in contatto con il sangue di un malato di Aids, sono state sottoposte a test e seguite per periodi prolungati. Soltanto cinque soggetti risultarono sieropositivi. Con le abituali precauzioni igieniche il rischio è quasi inesistente. Ulrico di Aichelburg

Persone citate: Ulrico Di Aichelburg

Luoghi citati: Ginevra, Stati Uniti