ATokyo il tessile fa boom

ATokyo il tessile fa boom Made in Italy ATokyo il tessile fa boom TOKYO. I giapponesi hanno deciso: il «Made in Italy» fa per loro. Così, nonostante lo yen continui a perdere punti rispetto alle valute straniere e la Borsa di Tokyo faccia tremare sempre più spesso milioni di risparmiatori, sono pochi quelli che si negano il lusso di un abito «firmato», che arriva direttamente dall'Italia. Lo sostiene l'autorevole quotidiano giapponese Asahi Shimbun, che in un servizio dedicato alla febbre del vestito italiano, confortato dall'opinione dei maggiori operatori nipponici del settore moda, non esita ad affermare che «le importazioni stanno crescendo a un ritmo frenetico». Secondo i dati forniti dal governo di Tokyo in soli due mesi, tra gennaio e febbraio, le importazioni di abiti «Made in Italy» hanno messo a segno un incremento del 58,5 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. In quei sessanta giorni i giapponesi hanno comprato vestiti italiani per un valore pari a 206 milioni di dollari (più di 250 miliardi di lire). Ma già nel 1989 l'Italia aveva superato Taiwan nella classifica dei maggiori esportatori di abbigliamento in Giappone, arrivando a conquistare il terzo posto nella classifica generale. In tutto l'anno passato le importazioni di abiti italiani nel Paese del Sol Levante sono salite del 62,1 per cento arrivando a 728 milioni di dollari (oltre 900 miliardi di lire). E i giapponesi non si accontentano di prodotto dozzinali, vogliono quanto di meglio c'è sul mercato. «Praticamente tutti gli abiti che importiamo dall'Italia sono prodotti di marca, firmati da famosi stilisti», ha detto all'Asahi Shimbun, Susumu Tanaka, dirigente del settore abbigliamento della Itoh, una delle maggiori aziende di importazione del Paese. «I vestiti italiani di importazione sono l'ultimo grido in Giappone», conferma Hiromichi Inagawa, che è il presidente della Renown Inc., il maggior produttore di abiti del Paese. Nel 1999 i giapponesi hanno acquistato capi di abbigliamento dall'estero per 7,44 miliardi di dollari. Il maggior fornitore è stato la Corea del Sud, che ha venduto abiti per 2,49 miliardi di dollari, con una crescita del 10,8 per cento rispetto all'anno precedente. Al secondo posto resta la Cina popolare che l'anno scorso ha esportato 2,12 milioni di dollari, con un miglioramento del 52 per cento sulle esportazioni del 1988. «Ma nei primi due mesi di quest'anno - dice ancora Tanaka - la domanda di vestiti a basso costo ha mostrato segnali di rallentamento e così le esportazioni dalla Corea del Sud, da Taiwan e dalla Cina sono calate oppure hanno avuto tassi di crescita molto inferiori a quelli del passato». Il boom delle esportazioni italiane, comunque, non riguarda solamente il settore dell'abbigliamento. In Giappone stanno andando molto bene anche le nostre macchine uten sili cLe da sempre rappresenta no una delle punte di diamante dell'industria italiana. Inoltre, proprio nella patria dell'alta tecnologia, stanno vivendo un periodo d'oro telefax e telefoni «Made in Italy», me rito anche di joint ventures tra aziende dei due Paesi, come quelle stipulate tra la Olivetti e la Sanyo. [r. e. s.l

Persone citate: Itoh, Olivetti, Tanaka