Mai più über alles

Intervista a Baring, lo storico della nuova Germania Intervista a Baring, lo storico della nuova Germania Mai più ùber alles «Oggi siamo all'antinazionalismo» BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Quando, due anni fa, scrisse il suo libro sulla Nuova megalomania tedesca, Arnulf Baring, professore di storia contemporanea e relazioni internazionali alla Libera Università di Berlino e autore di saggi molto popolari su Adenauer, De Gaulle, Willy Brandt, era pessimista sul futuro del Paese. Temeva un'involuzione, l'irrompere forse di tentazioni pericolose. L'avvio dell'unificazione ha placato i timori di questo sessantenne elegante ed estroverso e non è un paradosso: «Tutto è successo per necessità, sulla strada verso l'unità fra Est e Ovest, non per una vampata di megalomania». Ma il futuro? La Germania unita sarà al riparo dall'insidia della sua grandezza? Sul futuro, riconosce il professor Baring, nella quiete di una periferia berlinese fatta di laghi e boschi, pesano tante incognite, la sorte della Germania unita e del suo ruolo nel mondo «dipenderà da molti fattori. Bisognerà vedere, per esempio, se l'Europa si unirà per accettare e risolvere la sfida proveniente da Est I pericoli legati all'unità tedesca potrebbero essere esorcizzati da una federazione europea: purtroppo, non vedo iniziative in questa direzione». Con quali rischi di deriva, dunque? Che la Germania possa svilupparsi ai margini della comunità europea o addirittura al di fuori di essa, politicamente e militarmente, mentre noi tedeschi saremo costretti a impegnarci più degli altri per contenere l'instabilità dell'Est Pensiamo alle conseguenze immediate, a un solo esempio: se il nostro impegno in Polonia non fosse t edesco ma europeo, anche per i polacchi sarebbe più facile accettar lo. L'unificazione non rilancerà l'orgoglio tedesco? Può darsi, ma il nostro orgoglio nazionale non è particolarmen te forte: credo che un tedesco lo si riconosca anche dal fatto che i tedeschi non gli vanno a genio. Ho chiesto spesso ai miei studenti: «In quale situazione siete stati orgogliosi di essere tedeschi?», e ho sempre dovuto dare lunghe giustificazioni per la mia domanda e la sua legittimità. 11 fatto è che esiste ormai un nazionalismo tedesco negativo, un antinazionalismo, Ma un popolo che in parte almeno rifiuta se stesso è poco rassicurante: c'è il rischio che cada nell'opposta tentazione II fatto è che i tedeschi sembrano non essere in equilibrio con se stessi. Perche? Ci sottraiamo al nostro «essere tedesco», e il modo più facile per farlo è dire: io non c'entro con tutto quello che è successo, tutto quello che di spiacevole, criminoso e cattivo c'è nella storia tedesca non ha niente a che fare con me. Bisogna invece fare i conti con la colpa accumulata nella storia. Ai miei studenti di¬ Un romanzesco intreccio: personaggi, esistenze, sentimenti più forti e veri della vita RCS te ma politicamente instabili e con un'economia a terra. In questi Paesi il nazionalismo, che è un compenso di altre debolezze, si sta espandendo con le sue tendenze distruttive. Forse è vero che il nazionalismo è la religione dei periodi di trapasso, quando l'industrializzazione non è ancora matura ed esistono grosse ingiustizie economiche e sociali, e per questo è il collante di quelle società. Quali riflessi avrà, sull'identità tedesca, l'unificazione? Dobbiamo dimostrare quello che finora non siamo stati capaci di dimostrare, il senso della misura, ma dietro di noi c'è una lunga storia: fino alla fine del diciannovesimo secolo i tedeschi erano un popolo provinciale trasformato rapidamente in una potenza economica. Ci siamo inebriati: siamo diventati uno dei Paesi più ricchi d'Europa senza sapere che fare del nostro nuovo ruolo e di questa potenza. La disgrazia dei tedeschi è stata, secondo qualcuno, quella di essere un popolo industrializzato con a capo una classe dirigente feudale. Credo che anche con una classe dirigente democratica le cose sarebbero andate alla stessa maniera. Cosa vi ha lasciato la storia più recente? La storia mutevole e catastrofica degli ultimi decenni ha lasciato danni profondi. Da questo secolo abbiamo tratto l'impressione di essere pieni di talento, ma insieme di aver commesso incredibili errori e di averne subito le enormi conseguenze. Ci sarebbe da meravigliarsi se i tedeschi fossero sicuri di sé, se avessero una coscienza equilibrata: una simile considerazione di sé l'hanno popoli che sono vissuti ai margini della storia oppure popoli che riescono a dominare la storia. Noi non siamo ne l'una cosa né l'altra. Noi siamo sempre stati al centro degli avvenimenti ma non siamo mai riusciti a dominarli. Sono giustificati i timori di una Germania unita? Questi timori sono il risultato di esperienze storiche. Fino alla fine della prima guerra mondiale non eravamo tanto diversi dagli altri popoli europei. E' stata la sconfitta nella prima guerra mondiale a trasformarci: i tedeschi che preoccupano i Paesi vicini sono, in realtà, quelli di un tempo, quelli che hanno la sensazione di essere stati maltrattati dalla storia e di dover quindi compensare la sconfitta. L'Europa teme che torniamo a quello stesso smarrimento, mentre noi siamo tornati alla fase che ha preceduto la prima guerra mondiale, siamo tornati ad essere un popolo normale. Le ebbrezze e gli smarrimenti, conseguenza della prima grande sconfitta, sono finiti nella seconda grande sconfitta: allora ci siamo accorti di un altro terribile errore della nostra storia, il tentativo di compensare una sconfitta ci ha sconfitti. co spesso: dovete abituarvi all'idea che qualcuno, nella vostra famiglia, sia stato un criminale. Non tutti sono stati coinvolti certo, ma tutti possiamo avere un parente che lo è stato. Ciò vuol dire che bisogna accettare anche la parte negativa della propria storia, senza drammatizzarla: esiste e rimarrà con noi, ma la storia non è tutta la nostra vita. Non credo a un senso assoluto della colpa storica: un popolo non può vivere negando totalmente la propria identità. Dov'è dunque il carattere tedesco? La cosa che mi preoccupa di più è che l'orgoglio dei tedeschi, la loro consapevolezza, si concentra soprattutto sull'efficienza economica. Non credo che ciò sia sufficiente a formare una identità nazionale stabile, e mi sembra che emotivamente manchi un senso di appartenenza, di comunità, al popolo tedesco. Non ci sono simboli positivi nei quali i tedeschi possano riconoscersi: niente, al di fuori della bandiera, può considerarsi un simbolo nazionale. Ci sono centinaia di libri con la bandiera in copertina proprio perché non ci sono altri simboli di comunanza. Anche questo dimostra la fragilità dell'orgoglio tedesco, della nostra immagine. Siamo un popolo alla ricerca di un'identità. E l'unificazione, come influirà in questa vostra crisi? Negli ultimi decenni i tedeschi occidentali si sono aperti al mondo. I tedeschi orientali hanno vissuto quarant'anni in una specie di Mongolia. La loro influenza sarà dunque fonte di conflitti, avremo per anni problemi legati non soltanto al collasso economico della Ddr, ma anche alla sua identità. C'è il rischio di un lungo periodo di confronto su noi stessi, e potrà essere un confronto distruttivo. Di certo, nei prossimi anni i tedeschi si occuperanno molto di se stessi: l'unificazione si compirà a una velocità drammatica e nel nostro immaginario gli europei avranno un posto secondario, per un po' di tempo. Non ci sono rischi, nella destabilizzazione dell'ordine europeo uscito dalla seconda guerra mondiale? Quanto sta accadendo spaventa alcuni governi europei e comporta certo dei rischi: non sappiamo quali saranno le strutture dell'Europa di domani. Se pure il nuovo nazionalismo che arriva dall'Est europeo è stato il motore del rinnovamento, può mettere in pericolo una integrazione e una cooperazione ragionevole fra Stati. Abbiamo di fronte a noi una situazione in teoria molto promettente: i popoli dell'Est desiderano democrazie di tipo occidentale, diritti umani, lo Stato di diritto, libere elezioni. Ma c'è il pericolo che l'Est europeo finisca come l'Europa fra le due guerre, con governi orientati verso l'Occiden¬ Emanuele Novazio