FORTUNATO : VIAGGI SENZA FINE

CERCARE LA VERITA' A BERLINO EST CERCARE LA VERITA' A BERLINO EST IN una piovosa giornata di gennaio lungo una stradetta di campagna affossata nel fango, l'automobile del noto accademico berlinese Winfried Menzel finisce impantanata. Lo studioso è in viaggio alla ricerca di documenti per la sua monumentale biografia sul Giacobino del Brandeburgo, volta a fare di Max von Schwedenow, poeta dimenticato del primo Ottocento, un rivoluzionario democratico di origine contadina e un precursore del socialismo. Per un caso fortunato Menzel trova presto soccorso e scopre nel suo soccorritore, il giovane e ingenuo maestro di provincia Ernst Pòtsch, un insuperabile conoscitore della vita e dell'opera di Max von Schwedenow. Pare l'inizio di un'amicizia, anzi perfino di un sodalizio: Menzel promette al giovane un incarico all'Istituto di Storiografia, di cui egli è presidente; Pòtsch, accarezzando il sogno di una vita tutta dedita allo studio, è pronto a trasferirsi a Berlino con moglie e figli. Ma quando il futuro assistente espone al professore i risultati delle proprie ricerche, dalle quali Schwedenow risulta un aristocratico rientrato presto nei ranghi della sua classe d'origine, dopo aver pubblicato con uno pseudonimo i frutti dei suoi ardori rivoluzionari giovanili, Menzel lo rispedisce in campagna, mentre il mondo accademico fa quadrato intorno all'intellettuale di regime, impedendo allo sprovveduto Pòtsch di divulgare le sue tesi. E' questa la vicenda di Màrkische Forschungen (Ricerche brandeburghesi), un breve romanzo dello scrittore berlinese Gùnter de Bruyn che, pubblicato nel 1978 e accolto freddamente dalla critica ufficiale, viene oggi presentato in Italia dalle edizioni Costa Nolan con il titolo Un eroe del Brandeburgo (traduzione e postfazione di Palma Severi). Un invito ad avvicinare un autore tra i più significativi della Ddr, o meglio un autore tedesco che vive nella Ddr, come direbbe di sé de Bruyn, il quale - l'ha ricordato poche settimane or sono in una intervista pubblicata sul supplemento letterario della Zeit, il settimanale di Amburgo - «considera i suoi libri parte dell'unica letteratura tedesca» e, «di fronte a secoli di tradizioni linguistiche e letterarie comuni», contesta l'esistenza di una lette¬ ratura autonoma tedesco-orientale. Nato a Berlino nel 1926, arruolatosi a diciassette anni nel la Luftwaffe, de Bruyn alla fine della guerra rientra a Berlino Est, dopo un breve periodo di prigionia; lavora come insegnante e come bibliotecario, quindi a partire dagli anni Sessanta pubblica i primi romanzi e si dedica all'attività di scrittore, pubblicista e critico letterario, trascorrendo periodi sempre più lunghi nella prediletta campagna brandebughese, che ben si adatta al suo temperamento schivo e discreto: «Se lei sapesse quanto mi costa parlare, lo faccio solo per dovere, mai per inclinazione», ha confessato nel corso di un'intervista. Ma tale ritrosia non gli ha impedito di far sentire la sua voce, quando l'occasione lo richiedeva: così ad esempio ha parlato nel '76 a favore di Biermann oppure nell'88 contro la censura e la politica culturale della Ddr; ma soprattutto ha parlato con le sue opere, cercando di mantenere fede a quello che, secondo lui, è il compito dello scrittore, «dire la verità nelle grandi come nelle piccole cose, nei dettagli come nell'opera intera», una fedeltà che, qualche mese or sono, gli è stata riconosciuta con queste stesse parole nella motivazione con cui la città di Lubecca lo ha insignito del premio Thomas Mann 1989. Si è trattato di un impegno tutt'altro che facile in una società totalitaria, dove «il confine tra ragionevolezza e viltà è assai incerto», dove chi si espone viene emarginato e sconfitto, mentre chi usa toni smorzati rischia di apparire complice. Antieroi senza futuro In un linguaggio sobrio e asciutto, dove l'ironia si converte spesso in sarcasmo, de Bruyn ha raccontato la storia dei rapporti tra individuo e potere nei paesi del socialismo reale, tratteggiandola attraverso una galleria di personaggi emblematici: giovani senza futuro, destinati a diventare come gli altri li vogliono; antieroi, combattuti tra spinta interiore e necessità sociale, e infine, trionfanti nel loro idealismo ipocrita, i nuovi principi, i «corrotti comunisti del benessere». E' intorno a questi ultimi che ruota Un eroe del Brandeburgo. Con gli occhi e le parole di Elke, la giovane moglie di Potsch. de Bruyn ritrae senza commenti il loro stile di vita: «Erano quelli che prendevano l'aereo come gli altri prendono l'autobus, quelli che erano di casa a Mo sca, come loro non lo erano a Berlino, ma erano stati anche a Francoforte, Cannes e Venezia, senza vergognarsi dei loro pri vilegi. Sprizzavano tanta sicurezza perché erano coscienti della loro importanza... Erano i missionari in g^rado di dare consigli agli indigeni, quelli che gratuitamente trasmettevano loro anche la necessaria cultura». Soggiogata da questo mondo, Elke ha tuttavia la lucidità necessaria per provarne un'istintiva diffidenza. Una lucidità che manca invece al marito: accecato dall'amore per quello che Menzel chiama il «fantasma della verità», accetta umiliazioni e minimizza i limiti morali e intellettuali del piofessore, finché questi, in un impeto di sincerità favorito da qualche bicchiere di troppo, rivela sé stesso al candido interlocutore: dietro la maschera di cortese benevolenza c'è un essere cinico, «incatenato alla rupe della notorietà, mentre l'aquila dell'ambizione gli sta rodendo il fegato», un essere pronto a tutto pur di conservare i privilegi conquistati a caro prezzo. In un mondo che, volendo abolire il potere, ne ha sostituito la lottizzazione con il suo monopolio, gli inermi e gli onesti come Pòtsch si ritrovano accerchiati, privi di ogni residuo margine di manovra, morti come esseri sociali e condannati alla follia. «Come fa un individuo a essere onesto in una società che glielo impedisce?», si domanda oggi de Bruyn sulla scia di Brecht. Quale via di uscita gli resta, se la società è quella che doveva impedire il sorgere di un simile conflitto e invece lo favorisce più di ogni altra? L'amara risposta di de Bruyn è nella scena finale del romanzo: nel mentecatto che brancola fra le rovine, solo e ostinatamente fedele al «fantasma della verità», al tempo stesso immagine di disperazione e promessa di riscatto morale. Ada Vigliani Gùnter de Bruyn Un eroe del Brandeburgo Costa & Nolan pp. 140. L 19.000