L'Est non fa più paura ai turchi

I/Est non fa più paura ai turchi I/Est non fa più paura ai turchi Non c'è entusiasmo per gli operai orientali COLONIA. C'è stato un andamento opposto, nelle reazioni dei tedeschi e degli immigrati al processo di riunifìcazione: fra i primi l'euforia degli abbracci è stata gradatamente sostituita da concrete preoccupazioni economiche per il comune avvenire, fra i secondi l'angoscia di perdere casa e lavoro e venuta lentamente allentandosi per lasciare posto persino a una certa solidarietà. Su 60 milioni circa di abitanti, nella Repubblica Federale Tedesca vivono 1 milione e mezzo di turchi, 600 mila jugoslavi, 550 mila italiani (la comunità più antica), mezzo milione fra spagnoli, greci, portoghesi, appena alcune migliaia i nordafricani e gli africani neri. Quasi 4 milioni complessivamente: come vivono questo periodo? Un osservatorio privilegiato c'è, per tentare di scoprirlo: le reti dell'ente radiofonico tedesco destinate agli immigrati. Quaranta minuti al giorno per gli italiani, altrettanti per i turchi, gli jugoslavi, i greci, gli spagnoli. Nelle rispettive lingue, vengono mandati in onda un notiziario con gli avvenimenti principali della terra d'origine, di quella ospite e del mondo, e una serie di rubriche, essenzialmente di servizi sociali e informazioni culturali. In questo tipo di trasmissioni, il «filo diretto» con gli ascoltatori è appuntamento fisso. Sul mercato del lavoro, la concorrenza dei «profughi dell'Est» è relativa, almeno finora. Le prime ondate erano di personale specializzato - soprattutto nei settori sanitario e tecnico, bastava un cor¬ so di aggiornamento per inserirli in settori sostanzialmente lontani dalla massa degli immigrati stranieri - e quelle successive, afflusso odierno compreso, sono di lavoratori sovente inesperti e abituati a ritmi ben diversi. Per esempio, in fabbriche e cantieri arrivano in ritardo, a un certo punto della giornata magari escono per andare a fare la spesa. Meglio gli immigrati stranieri, ragionano gli imprenditori, hanno da tempo avuto modo di imparare come ci si comporta. Ma con la prossima unione monetaria e economica, non poche aziende dell'Est si troveranno in difficoltà, con la conseguenza di convogliare verso l'Ovest ulteriori ondate massicce. «A risentirne», riflette il redattore capo dei programmi italiani, Gualtiero Zambonini, «saranno principalmente gli stranieri disoccupati al di sopra dei 45 anni, per i quali davvero trovare lavoro diventerà ancora più impossibile di quanto già lo sia oggi, i giovani alla ricerca del primo impiego e la manovalanza non qualificata in genere». In questi mesi, anche se la portata dell'accoglienza ha subito ridimensionamenti non indifferenti, altre centinaia di migliaia di persone vanno aggiungendosi a quel milione circa che dall'Est sono uscite nel corso del 1989. Provenivano anche dalla Polonia, dall'Unione Sovietica, dalla Romania; comuni radici tedesche - più o meno dirette - garantivano immediatamente cittadinanza, ospitalità e occupazione. Era, secondo la voce di tanti immigrati, «un'in¬ giustizia, perché noi, che abbiamo contribuito in modo determinante a costruire la ricchezza della Germania, ancora oggi abbiamo problemi di alloggio e a volte persino di soggiorno». Qualcuno chiedeva: «Per fare posto ai tedeschi, ci licenzieranno? O ci prenderanno le case?». Altri paventavano i risultati delle elezioni, con il razzismo più o meno esplicitamente affiorante dai programmi di certi partiti di destra. E le ansie che emergevano dai microfoni delle varie comunità ospiti parevano forse ancora maggiori fra i turchi. Oggi, continua Zambonini, si può constatare che erano infondati i timori su un eventuale successo dei razzisti e sulla perdita di diritti ormai acquisiti, «anche se, per esempio nell'ordine di assegnazione degli alloggi, qualche immigrato straniero è stato scavalcato da "concorrenti" dell'Est». Il primo impatto con i nuovi immigrati dall'Est, ricorda, registrò pure un'identificazione emotiva con chi si riabbracciava. La frase «Mi sono messo a piangere quando ho visto la gente sotto il Muro», era frequente, magari immediatamente seguita dagli interrogativi sulla propria sorte. I muri che separano questi immigrati dalle rispettive comunità e famiglie sono più definitivi. Per legge, ad esempio, un turco che desideri essere raggiunto dalla moglie deve risiedere in Germania da almeno 3 anni e dimostrare di disporre di un appartamento «adatto», cioè di almeno 10 mq a persona, [o. r.l