«Metà del riscatto in beneficenza» di Giuliano Marchesini
«Metà del riscatto in beneficenza» «Dopo ogni rapimento dicevamo basta, ma poi finivano i soldi e ricominciavamo» «Metà del riscatto in beneficenza» Maffiotto cerca giustificazioni davanti ai giudici VERONA DAL NOSTRO INVIATO Franco Maffiotto dice che metà della sua parte di denaro ricevuto per il riscatto di tre bambini rapiti l'ha data in beneficenza. A chi non specifica. Comunque, calcolando che la banda di sequestratori dovrebbe aver messo insieme circa 6 miliardi, quest'uomo avrebbe destinato centinaia di milioni ad una sorta di «lavaggio della coscienza». Questa storia viene ripetuta durante gli interrogatori cui sono ancora intenti, nel carcere del Campone, i giudici arrivati da Torino, che ricostruiscono i sequestri di Pietro Garis e Giorgio Garberò, mentre il sostituto procuratore veronese, Angela Barbaglio, si occupa del dramma di Patrizia Tacchella. Ieri sono tornati al Campone i sostituti procuratori torinesi Francesco Saluzzo e Ugo De Crescienzo, poi è sopraggiunto il giudice delle indagini preliminari di Torino, Alberto Oggè, che rivolge la sua attenzione a Franco Maffiotto. Maffiotto protagonista, in questo giro di interrogatori. Lui che insiste nel sostenere d'aver pensato anche agli altri, ai bisognosi, ai derelitti, prodigandosi tra il sequestro di un bambino e un'opera di «beneficenza»: forile qualche istituto, qualche comunità, se proprio si volesse dare credito alle affermazioni di Maffiotto, ha inconsapevol- mente ricevuto soldi provenienti da un rapimento. Non è questo, ovviamente, che suscita particolare interesse nei magistrati. Maffiotto racconta e precisa, sui bambini che sono finiti tra le sue mani. Quindi i giudici vanno completando la sua storia sconvolgente. Per lui, altre quattro ore di colloquio con i magistrati. «Ma - assicura il suo avvocato, Fabio Maggiorelli - s'è trattato di adempimenti formali, più che di altro». Due giornate riservate dagli inquirenti a questo personaggio. Tanto, si è osservato. Tra l'altro qualcuno si domandava se, data l'insistenza dei giudici, mancasse qualcosa per completare il quadro. Altri sequestri, oltre a quelli già confessati? Circolava persino la voce che Maffiotto potesse essere coinvolto in qualche modo nel rapimento del piccolo Marco Fiora. «No - smentisce il suo legale assolutamente. Non c'è alcun altro coinvolgimento». Da Pietro Garis a Patrizia Tacchella. Dal lunghissimo interrogatorio vien fuori anche che i componenti la banda si dicevano l'un l'altro, dopo il rapimento di un bambino: «Questo è stato l'ultimo. D'accordo?». Ma più avanti quella reciproca promessa franava: finiva il denaro del riscatto, loro ricominciavano. Finito, almeno per ora, il racconto di Maffiotto, i sostituti procuratori torinesi hanno pre- so a parlare con Valentino Biasi, l'altro «pentito», che si è a sua volta dichiarato responsabile di quattro sequestri. Anche il difensore di Biasi, Stefano Comellini di Torino, esclude che si sia parlato di altre imprese del genere. Anche Valentino Biasi, comunque, ha raccontato di sé, piuttosto a lungo: di quel suo sciagurato «rimediare» a situazioni economiche deficitarie andando a ghermire bambini qui e là, per chiedere poi centinaia di milioni o qualche miliardo. E quelle lettere assillanti, con quelle minacce orribili, inviate alla famiglia di Patrizia Tacchella? Qualcuna l'ha scritta anche Biasi, con la firma di «Marco Marchi». E come venivano recapitate, ai Tacchella? Una veniva infilata in un cestino delle immondizie, l'altra lasciata in una cabina telefonica. Poi, una telefonata, per il prelievo. Perché quella minacciata crudeltà nei confronti della bambina, negli scritti dei sequestratori? Risponde Comellini: «Evidentemente era finalizzata alla riscossione del denaro. Ma nei confronti di Patrizia non c'è stata alcuna violenza». Da una parte i tre uomini, dall'altra le due donne, in questo turno di interrogatori in carcere. L'altro ieri il sostituto procuratore Angela Barbaglio ha sentito Ornella Luzzi. Ieri il giudice veronese è stato a colloquio con Carla Mosso, compagna di Valentino Biasi. Prima ha mostrato a Patrizia Tacchella le due borse di colore rosso trovate nell'alloggio di questa donna, a Torino: una delle borse potrebbe aver fatto parte della «attrezzatura» della banda per il sequestro della figlia del «re dei jeans». Ma pare che la bambina abbia risposto di non averla vista. A questo punto il difensore di Carla Mosso, Fulvio Gianaria di Torino, appare alquanto soddisfatto. «Adesso - dice - vado a presentare l'istanza di scarcerazione, per la mia cliente, per mancanza di indizi. E può darsi che la signora venga rimessa in libertà tra domani e lunedì». Giuliano Marchesini
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