Gli americani accusano i «velisti mercenari» passati allo straniero
Gli americani accusano i «velisti mercenari» passati allo straniero America's Cup, domani sentenza Gli americani accusano i «velisti mercenari» passati allo straniero Al San Diego Yacht Club l'atmosfera è quella che precede i grandi avvenimenti: la sentenza definitiva sulla Coppa America è prevista per domani. Se, come molti prevedono, la vittoria dell'edizione 1988 verrà confermata agli americani, potrà finalmente partire il piano per organizzare la difesa della Coppa nel 1992. E conservarla non sarà facile. Finora la Coppa America è stata oggetto, soprattutto sui giornali locali, di feroci polemiche contro tutti: i velisti americani passati agli stranieri e definiti me. jenari; gli amministratori locali di San Diego che non si sono ancora decisi a stanziare i fondi sufficienti; quegli addetti ai lavori che se ne stanno a prendere il sole invece di concentrarsi sulla Coppa America come fanno gli italiani. Proprio sul giornale di Providence, il più letto a Newport Rhode Island, patria storica della Coppa America, Dave Philips riferisce che durante la Coppa America '86-87 Azzurra 2 era stata ribattezzata dagli australiani "The blue stone" (la pietra azzurra, nel senso che era ferma come uno scoglio), mentre Italia era appena un po' più veloce. Adesso invece la situazione è mutata: Gardini ha un vantaggio di 18 mesi e con il super-varo del Moro ha inteso lanciare un messaggio preciso, che vuol dire business. Varato il primo scafo giapponese, quello del consorzio-Nippon, tra un paio di mesi scenderà nel Mar del Giappone la barca del secondo gruppo, quello del Bengal Bay Yacht Club. Queste tre sfide, l'italiana e le due giapponesi, sono temute dagli americani e sono accomunate dell'utilizzo di consulenti stranieri. Tre gli americani chiamati da Gardini: Paul Cavarti (skipper), Adam Ostenfeld (alle scotte di Stare & Stripes con Conner) e Robert Hopkins (responsabile delle tecnologie di progetto). E ancora: il francese Laurent Esquier per la gestione operativa, l'argentino German Frers per il disegno creativo degli scafi. Massiccio il sostegno neoze¬ landese per i giapponesi di Nippon: la progettazione del nuovo scafo è nata dalla collaborazione con lo studio di Bruce Farr, mentre per l'allenamento dell'equipaggio e l'organizzazione della base sono stati ingaggiati con un milione di dollari ciascuno Roy e Chris Dickson. Kobayashi, a capo del secondo consorzio giapponese, è attorniato da consulenti australiani, cedutigli da Bond assieme ad Australia HI e IV, e dall'esperto statunitense Rod Davis. Per il regolamento di Coppa America, le barche che partecipano alle regate non possono essere progettate, costruite e condotte da stranieri. Ma prendere la residenza del Paese sfidante non presenta alcun problema: Esquier, francese d'origine, è stato uno dei coordinatori della difesa di Conner nell'83 ed elemento fondamentale nel successo neozelandese dell'87. Gli australiani invece si sono avvalsi nell'87 per tutta l'elettronica di bordo della collaborazione dell'inglese Clark. Gli attacchi americani verso i "mercenari" passati agli stranieri appaiono come uno sfogo della preoccupazione che si avverte nei più qualificati ambienti velici statunitensi. Innanzitutto, se per 130 anni difendere la Coppa è stato un vantaggio, dall'83 non lo è più. All'inizio gli americani utilizzarono una mano pesante nello stendere un regolamento assolutamente di parte. Nel 1870 lo sfidante inglese si trovò di fronte 17 scafi Usa; nel 1871, quando si passò ai match-race, gli americani si riservarono il diritto di scegliere ogni giorno lo scafo più adatto tra quattro, mentre fino al '37 gli sfidanti dovevano traversar l'Atlantico con la stessa barca della sfida. Le regate di Newport '83 sovvertono i vantaggi: le selezioni tra molti sfidanti permettono al Challenger di arrivare agguerritissimo alle finali mentre il defender esce da una selezione limitata a pochi scafi non sempre validi. E in Australia il fenomeno viene ancor più esasperato. Ida Castiglioni
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