Traffico d'armi, Bnl sotto accusa

Traffico d'armi, Bnl sotto accusa Le filiali di Parigi e Torino avrebbero «aiutato» alcune ditte ad esportare in Iran Traffico d'armi, Bnl sotto accusa Chiesto rinvio a giudizio per ex-presidente Nesi VENEZIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Il meccanismo è lo stesso che I usavano ad Atlanta: le filiali della Bnl di Parigi e di Torino avrebbero aiutato aziende ita' liane a esportare armi in Iran con il sistema delle «triangola: zioni». Il p.m. Ivano Nelson Sai- | varani non ha dubbi e chiede al j giudice istruttore Felice Casson i di rinviare a giudizio i vertici ' della prima banca pubblica ita| liana. | Fra loro c'è l'ex presidente ; dell'istituto, Nerio Nesi. E poi, | l'ex direttore generale Francesco Bignardi, l'ex vicedirettore Luigi Carini, il direttore del servizio crediti, Giacomo Pedde e due funzionari della filiale torinese, Augusto Calzolari e Piero Stampi. Ci sono poi l'ex presidente del Comitato interministeriale per il controllo sulle esportazioni di armi, Umberto Toffano, attuale ambasciatore plenipotenziario al Consiglio d'Europa di Strasburgo, e altri sette componenti di quell'organismo, tra funzionari del Sismi e altri funzionari dello Stato Maggiore della Difesa. Infine, figurano in lista alcuni industriali, come Daniel Dewavrin. amministratore delegato della francese Luchaire, Mario Appiano, direttore vendite della Sea di San Mauro Torinese e della Consar di Roma, Angelo e Umberto Gasparotto, amministratori della Remie di Vicenza, Cristina Coda ed Ermanno Bertoldo, titolari della Erber e della Gea di Torino. In totale, gii imputati (con quelli minori) sono 33. Per comprendere la proporzione dell'affaire, lo scandaloLuchaire, cioè la parte francese della stessa inchiesta nella quale è coinvolta l'industria bellica d'Oltralpe, era arrivato a lambire persino l'Eliseo. E la Luchaire affidava sub-commesse alle imprese italiane che sono poi finite in quest'inchiesta veneziana. L'accusa parla di esportazione di armamenti vurso un Paese, l'Iran, per il quale vige l'embargo. Secondo la documenta¬ zione raccolta dai magistrati, le imprese avrebbero inviato fra l'83 e l'87 mine, spolette e munizioni per obici all'esercito khomeinista, per un volume d'affari di 180 miliardi di lire accertati. Ufficialmente erano armi destinate a Paesi come la Francia, il Portogallo e la Malaysia, ma poi di lì rimbalzavano a Teheran. Tutto questo, sempre stando al magistrato, con l'avallo del Comitato interministeriale e la copertura finanziaria da parte della Bnl. Secondo Salvarani, i funzionari del Sismi e del Ministero della Difesa che facevano parte di quel Comitato, erano in grado di rendersi conto che quegli armamenti in realtà finivano nelle «triangolazioni»: e questo, semplicemente perché i Paesi di destinazione ufficiali non possiedono armi utili per impiegare quelle munizioni. Dal canto loro, le banche avrebbero coperto le operazioni con fidejussioni. A tale scopo si erano riunite in un cartello che faceva capo alla Bank of Worms: la Bnl vi partecipava con il 10% del capitale;, e secondo il giudice i suoi vertici erano chiaramente a conoscenza del l'esportazione clandestina. Anche perché le imprese coinvolte beneficiavano di quelle fidejussioni anche prima dell'83, l'anno in cui era entrato in vigore l'embargo. Subito dopo, era sparita dalle carte la parola Iran ed erano comparsi invece Francia, Portogallo e Malaysia; ma ci sarebbero documenti che comprovano la continuità del commercio verso lo Stato che era in guerra con l'Iraq. «Ufficialmente i governi occidentali facevano appello alla pace - scrive Salvarani nella sua requisitoria - ma poi ipocritamente tolleravano che le loro industrie belliche si arricchis sero. L'indagine ha lasciato intravedere il coinvolgimcnto di un vero e proprio cartello europeo di industrie italiane, francesi, austriache, olandesi, britanniche, portoghesi. Anche l'Europa, insomma, ha avuto il suo Irangate». Mario Lollo