La «Jihad» ha promesso di liberare un americano di E. St.

La «Jihad» ha promesso di liberare un americano LIBANO Washington dice: «Non vogliamo trattative» La «Jihad» ha promesso di liberare un americano WASHINGTON. L'attesa è stata vana, come altre volte. Ma gli Stati Uniti considerano fondate le speranze di veder libero nelle prossime 48 ore uno dei loro otto ostaggi di Beirut. La Jihad islamica che rapì nel gennaio '87 tre professori dell'Università americana di Beirut (Jesse Turner, Alan Steen e Robert Polhill) ha promesso di rilasciarne almeno uno in breve tempo. Sembrava ieri la giornata giusta, invece gli estremisti islamici hanno fatto sapere da Beirut che «tutto è rinviato di quarantotto ore». Washington non vuole trattare e ribadisce che l'eventuale liberazione di un ostaggio (sembra che il candidato sia Turner) dovrà essere considerata come «un gesto umanitario». La Siria — che funge da intermediaria — assicura che questa volta gli estremisti filoiraniani hanno intenzione di mantenere le promesse. Il canovaccio libanese si ripete ma con qualche garanzia in più. Teheran e Damasco, pedine fondamentali nel «puzzle» libanese, si stanno muovendo per risolvere la questione ostaggi che avvelena i rapporti con l'Occidente. In tal contesto la liberazione di un americano avrebbe un ruolo trainante. E ieri è partita da Washington per la base Usa di Wiesbaden, in Rfa, un'equipe specializzata nella «disintossicazione» di ostaggi liberi dopo molto tempo di detenzione, come è il caso dei tre professori americani. Gli Stati Uniti non hanno invece voluto accogliere la richiesta della Jihad di inviare a Damasco — per prendere in consegna l'ostaggio liberato — il sottosegretario agli Esteri John Kelly che in questi giorni si trova in Europa. Ma gli Usa, dopo aver accusato di debolezza la Francia per una vicenda analoga, non vogliono scostarsi dalla linea dura. [e. st.]

Persone citate: Alan Steen, Jesse Turner, John Kelly, Robert Polhill, Turner