Versilia, giallo senza colpevoli

Versilia, giallo senza colpevoli Dopo la lettura della senten2a Maria Luigia Redoli ha riso e ha abbracciato i figli, tra gli applausi Versilia, giallo senza colpevoli A Lucca assolti la donna, l'amante e la figlia LUCCA DAL NOSTRO INVIATO Maria Luigia sorrìde per la prima volta. Assolta. «Innocente», precisa lei. Com'è lontana, nella piazzetta inondata dal sole, davanti al carcere di San Giorgio, l'aula buia della corte d'assise di Lucca. Innocente Maria Luigia Redoli, innocente la figlia Tamara, innocente Carlo Cappelletti, l'amante carabiniere. La moglie non ha voluto uccidere il marito, l'amante non l'ha ucciso, la figlia non era d'accordo. Così ha deciso la corte. Lei, Maria Luigia, è già libera, le altre detenute la chiamano, i figli la abbracciano, il pubblico stipato sul marciapiede applaude. Il processo è finito con una sentenza forse imprevista, eppure così rapida da lasciar persino immaginare una certa identità di opinioni nella giuria. Quattro ore di camera di consiglio sono bastato, n il giallo della Versilia resta senza colpevoli, Luciano Iacopi, uomo ricco e solo, il marito odiato e meschino, senza giustizia. Lo uccisero un anno fa con 17 coltellate, davanti al garage della sua villa sopra il Forte. Al suo funerale non ci andò nessuno, e al processo nessuno si è costituito parte civile. Strano destino. In aula l'hanno difeso soltanto donne più tristi di lui, lettrici disperate di annunci solitari, c saltimbanchi e fattucchiere che venivano pagati proprio per fargli le fatture. Maria Luigia, invece, s'è difesa sempre con grande freddezza, ma anche con grande sicurezza. Al suo avvocato aveva confessalo che non le dispiaceva nemmeno esser chiamata Circe. Eppure, durante le udienze del processo, lei ha ricoperto tutte le volte il ruolo tenero e disperato della madre che si coccola i figli perduti. E appena ascoltata la sentenza, nel gran trambusto che le si faceva attorno, in mezzo a un nugolo di carabinieri, ancora prima di abbracciare l'amante fusto e impaurilo con gli occhi rossi di pianto, ha chiesto di loro, cercandoli nella folla: «Dove sono i miei figli?». Adesso, nella piazzetta della prigione, corrono bambini e cani randagi fra le macchine posteggiate davanti alle transenne. Lei esce e sorride, con una sacca jeans e una borsa di plastica in una mano, e alza l'altra mano, spalanca le dita in segno di vittoria. «Non parlo, non parlo», ripete avanzando fra i foto grafi. Diego, il figlio di 14 anni, l'afferra, l'abbraccia, l'ammonisce: «Non dir niente, vieni via». Lei si fa largo: «Voglio dir grazie solo ai miei avvocati». Sposerà il giovane carabiniere? «No, no. Niente nozze». Dalle finestre, le detenute: «Dai dai. Maria...». Dal marciapiede, la gente: «Forza Maria, brava Maria...». Chi vince raccoglie sempre manifestazioni di solidarietà. Ma, a onor del vero, Maria Luigia non sembra preoccuparsene troppo, non degna nemmeno di uno sguardo le urla di incitamento. Tamara la spinge nella macchina: «Vai, vai. Non dar retta». E la Golf bianca sgomma, aprendosi un varco fra i fotografi, fra i bambini che giocano a palla. Al mattino, prima che i giurati si riunissero nella camera di consiglio, lei s'era alzata per dire solo poche parole: «Posso dire solo che sono innocente». Carlo Cappelletti, invece, s'era aggrappato alle sbarre, con voce roboante: «Mi si accusa di un omicidio che non ho commesso, signor presidente. Mi si accusa di aver ucciso un uomo che non ho mai visto. Ve lo giuro davanti a Dio, io non ho ucciso nessuno». Quando era ricomparsa in aula la corte, Cappelletti s'era levato in piedi con gli occhi rossi di paura. Lei stava quasi sull'attenti, piccolina, in mezzo ai carabinieri. Elio Narderne leggeva il verdetto con aria quasi seccata. Prima, la condanna a due anni c due mesi al giovane carabiniere per il porto d'armi (in casa gli trovarono quasi un arsenale). Poi l'omicidio: «... la corte assolve gli imputati per non aver commesso il fatto». Qualche timido applauso, un sussurro di commozione di Maria Luigia. Domenico Manzione, il pm, aveva chiesto due ergastoli per gli amanti e 25 anni per Tamara. E' buio in volto, scappa via: «E' stata negata l'evidenza palmare. Sono curioso di leggere le motivazioni. Io potevo pensare semmai a articolazioni diverse delle pene. Ma almeno su di lei mandante non avevo nessun dubbio». Gli avvocati, invece, non nascondono la loro gioia. Graziano Maffei: «Ne ero sicuro». Rodolfo Lena: «Io ero convinto, non sicuro». La svolta? «Nessune svolta. Qui il problema è che mancavano le prove, si è andati avanti per deduzioni». Di nuovo Maffei: «E quelli che venivano indicati come indizi non erano neppure concordanti tra loro. Troppi pregiudizi hanno sporcato quest inchiesta». Il pm ha annunciato ricorso. Il giallo continua. E Maria Luigia, precisa l'avvocato Lena, «dovrà attendere la sentenza definitiva prima di avere l'eredità». Un patrimonio di almeno sette miliardi. Ma in questa storia di soldi, sesso e magia nera c'è anche un'altra faccia tragica, più umile e povera. E anche, forse, più dignitosa. Quando il presidente Nardonc legge la sentenza di assoluzione, Marisa Gas sandri, la mamma del carabiniere . "nputato, con la sua solita giacca un po' troppo larga e la solita gonna imbastita male, sviene in mezzo al pubblico. La portano fuori, nel cortile, le danno una sedia, la circondano, fotografi e curiosi. Il marito le sta accanto, la guarda e ripete: «Stai brava, stai zitta...». Ma questa madre stanca e disperata non deve aver niente da dire. Guarda avanti come nel buio. Le hanno assolto il figlio. Eppure i suoi occhi sono ancora infinitamente tristi. Pierangelo Sa pegno Dopo la sentenza che la assolve Maria Luigia Redoli ha abbracciato i due figli, Tamara e Diego Poi ha stretto a sé il suo amante, l'ex carabiniere Carlo Cappelletti (in alto, durante l'udienza). Ma ha detto: «Non ci sposeremo»

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