Prigione dorata, in mezzo al verde

Prigione dorata, in mezzo al verde Prigione dorata, in mezzo al verde Un vicino: ho seguito il blitz dàlia finestra, come un film «ANTA MABOHERITA DAL NOSTRO INVIATO Sono circa le 18. Sulla strada di San Lorenzo che sale in tornanti sopra Santa Margherita in direzione di Recco, transitano rare vetture. C'è quiete, è una giornata serena. In una piccola costruzione color mattone, a quattro chilometri dalla cittadina, un anziano signore, Gianni Agrenta, va alla finestra per chiudere le imposte. Dalla finestra, sul lato destro dell'abitazione, si vede un tratto retto di via. Un muretto divide la carreggiata dal pendio alberato. Giù, in fondo, il panorama del porto, denso di barche. Sopra, gruzzoli di case nascoste dagli alberi. Il signor Agrenta sta per rientrare, quando, velocissimo, irrompe sulla strada un pulmino. E' un attimo, un'immagine balenante. Dall'auto, che si blocca di colpo («Una frenata improvvisa, decisa, un leggero scarto della macchina») si catapulta un nugolo di carabinieri. «Quindici, venti, ora non saprei dire. So che la scena è stata fulminea, mi ha calamitato». I ca¬ rabinieri impugnano mitra, pistole, corrono («pochi metri, una trentina, percorsi a capo basso») lungo il muretto, lo scavalcano, accerchiano e invadono una villetta acquattata nel verde. Non uno sparo. «Vorrei ancora guardare quella specie di film, ma mia moglie, che m'è venuta alle spalle, mi tira indietro, vieni via, vieni via. Resto ancora un momento». «La scena s'ingrandisce, s'infoltisce, sento il sibilo di sirene, giungono altre auto dei carabinieri, tante. Quanto tempo è passato dal momento in cui mi sono sporto alla finestra? Non so, forse cinque minuti. Credo di vedere un carabiniere che stringe a sé una bambina, ma c'è confusione, una frenesia enorme e mia moglie continua a ripetere, insistente: vieni via, vieni via». E' il racconto immediato, ansimante, dell'operazione che ha liberato Patrizia Tacchella. Giù, a Santa Margherita, nella caserma dei carabinieri, c'è un uovo di Pasqua pronto per lei, che sta bene, non le è stato fatto del male. E' calato il buio sulla strada in salita. Sotto il muretto, la casa a due piani, anonima, moderna, l'ultima prigione di Patrizia, è illuminata a giorno. Si svolgono le prime perizie, si fanno rilievi. Le auto dell'Arma ingombrano ancora la via. Sono giunti dalle vicinanze, sono scesi dalle case a monte, i curiosi. Hanno spento i televisori e vengono a vedere il luogo dell'operazione. Ma che cosa avevano visto prima, che cosa accadeva lì, dove Patrizia attendeva di essere liberata? Anna P. («No, il nome no, per favore») racconta: «Era una casa con poco movimento attorno. Non attirava l'attenzione, non giungevano voci di lì, rumori. Una casa tranquilla come tante altre di questa zona appartata, fuori dal caos di Santa Margherita. Poche auto, poche persone. D'estate si fermavano macchine targate Torino. E, ecco, sì, ricordo, nei giorni scorsi, più volte un'auto con la targa To sostava davanti al cancello d'ingresso. Nient'altro». «Sì, nient'altro», dice un'altra signora, scrupolosissima an¬ ch'essa a non rivelare il suo nome, «Anch'io ho visto auto targate Torino. Ma sono riferimenti che si fanno adesso, adesso che sappiamo. Prima, chi ci faceva caso. Siamo abituati a vivere in una calma assoluta. E' una calma che non aiuta certo l'immaginazione; e, poi, chi poteva pensare che proprio vicino alle nostre case ci fosse la prigione di una bambina rapita?». Due giovani, un ragazzo e una ragazza, guardano da oltre il muretto giù verso il verde. «Siamo passati di qui tante volte, di giorno e di sera, non abbiamo notato mai nulla di strano, di particolare, non abbiamo notato nessuno che uscisse o che entrasse. Molte di queste case riprendono a vivere d'estate. D'inverno e in primavera dormono». Un uomo (il nome detto in fretta e non ripetuto): «Ero lassù» e indica un punto della collina. «Ho visto gruppi di carabinieri, sono sceso verso la strada, gli alberi mi hanno coperto la vista. Più sotto, il passaggio era bloccato dalle auto dei militi. Saranno state le sei, le sei e mezzo». Sbriciolate, confuse testimonianze intorno al breve racconto della sequenza dominante, fatto da Gianni Agrenta. Quella villetta a due piani era soltanto una delle numerose costruzioni sorte sul pendio verde che scivola verso il mare, le piante ne celano quasi completamente l'esistenza, e il desiderio di pace non suggerisce agli abitanti di San Lorenzo d'interessarsi di ciò che vi avviene. Un luogo ideale, in una zona bella. Ideale per non essere interpretato come il capolinea di un sequestro. E' già quasi notte e ancora sostano le vetture dei carabinieri. La gente comune è scomparsa, l'aria è fredda ora. In mezzo alla vegetazione risplendono le sole luci dell'ex prigione. Al numero 25, nella casa-vedetta, i coniugi Agrenta si sono messi finalmente a tavola. La porta d'ingresso è sprangata («Non diciamo più mente»). L'ultimo atto della storia, qui sulla strada di San Lorenzo, s'è concluso. Gianni Ranieri

Persone citate: Gianni Agrenta, Gianni Ranieri, Patrizia Tacchella

Luoghi citati: Torino