Sindrome iraniana a Gerusalemme I rabbini ultrà assediano Peres di Igor Man

Sindrome iraniana a Gerusalemme I rabbini ultrà assediano Peres ISRAELE, IL CALVARIO DELLA PACE Sindrome iraniana a Gerusalemme I rabbini ultrà assediano Peres QUEST'anno la Pasqua ebraica e quella cristiana sono concise temporalmente, intrecciandosi, altresì, con il Ramadan, il sacro mese del digiuno arabo. E tuttavia è stata una «mala Pasqua» quella appena trascorsa in Terra Santa. Mercoledì 11 aprile, Shimon Peres viene umiliato in Parlamento per la defezione inopinata di due membri del partito religioso Agudat Israel. Si vuole che a convincere i due al gran rifiuto sia stato l'ottantasettenne rabbino Schneerson, un uomo che risiede a New York dal 1939 e non ha mai messo piede in Israele: perché il Messia non è ancora arrivato. Quasi in contemporanea, centocinquanta coloni del movimento fondamentalista Catavim Cohanim occupano . l'ostello di San Giovanni di proprietà della Chiesa ortodossa. E' una provocazione che incontra il plauso, del generale Sharon (il quale, da tempo, ostenta un alloggio nel cuore della Gerusalemme cristiana), ma la contestuale, dura condanna del sindaco Teddy Kollek. Il Patriarca ortodosso, Diodoros I, seguito da un gruppo di monaci, da una folla di palestinesi - spicca Feisal Husseini - raggiunge l'ostello e intima ai coloni di rimuovere la stella di David. Interviene la polizia speciale e scoppia il parapiglia. 11 Venerdì Santo la Via Crucis si celebra in stato d'assedio, mentre il perpetuarsi dcll'Intifada sgrana il suo consueto rosario di morti. La domenica di Pasqua, infine, vede in Gerusalemme sublimarsi per così dire la lacerazione di 1 Israele: i pacifisti di «Pace I adesso» manifestano contro le provocazioni innalzando cartelli che dicono: «Giù le mani da Gerusalemme», mentre Geula Cohen, la «Pasionaria» della destra israeliana, colei che si stracciò le vesti in Parlamento perché in cambio della pace con l'Egitto si doveva restituire il Sinai, urla che Gerusalemme dev'essere tutta ebraica «perché lo è da sempre». Dopo secoli di delicato equilibrio confessionale, la destra fondamentalista israeliana ha brutalmente spostato il conflitto sul piano religioso. Pur di continuare a sabotare la pace ha, così facendo, scelto la roulette russa. Il generale Harkabi, già irriducibile capo dell'Intelligence israeliano, scrive che in passato i palestinesi affermavano perentoriamente di essere soltanto loro ad aver diritto a uno Stato. Col tempo hanno abbandonato questa assurda posizione, «sicché non possiamo pretendere che essi siano d'accordo sul fatto che sólamente gli ebrei hanno diritto a uno Stato (...). Israele non può dominare i palestinesi. Dobbiamo riconoscere il loro diritto all'autodeterminazione, il che vuol dire uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza». Ma questi discorsi che son quelli, poi, di «Pace adesso» e dei 150 mila che protestano contro r«immobilisrno corrotto» dell'establishment, che spingono intellettuali e popolani a far lo sciopero della fame contro la miopia arrogante dei dirigenti, non sembrano scuotere gli ex terroristi in doppio petto. Nonostante Arafat abbia sciolto tutti i dubbi degli Stati Uniti riconoscendo Israele e rinunciando al terrorismo, accettando il piano Baker che, a ben guardare, è una scatola vuota, la destra fondamentalista spedisce gli immigrati sovietici a Gerusalemme Est, nei territori occupati, proponendo Eretz Israel, il Grande Israele. E' stato ben scritto come questa sia una «prospettiva folle»: provocherebbe un nuovo esodo palestinese, la caduta del regno hashemita con la conseguente libanizzazione della Giordania e, fatalmente, una nuova guerra. Come uscire da siffatto «pericoloso delirio»? Che fare per aiutare Israele a risolvere la sua crisi d'identità? In un Paese, democratico quant'altri mai, dolorosamente spaccato in due (la pace in cambio dei territori - l'espansionismo di Eretz Israel), sarebbe logico attendere una soluzione politica. Ma e anche vero che quella israeliana è una democrazia senza Costituzione, dove il religioso e il politico si fondono; ne viene che in un Paese paradossalmente afflitto da una vera e propria sindrome iraniana, non sembra ipotizzabile un governo laborista che osi infrangere il tabù-Olp, convincendo il Paese che bisogna trattare con quanti sino all'Intifada «non esistevano», i palestinesi appunto. E' chiaro che Peres (o Kabm) abbandonato a se stesso non riuscirà mai a fare accettare il dialogo. Soltanto un segnale finalmente non ambiguo di Washington potrebbe costringere i fondamentalisti a rassegnarsi alla storia. E i leader ebrei d'America, se veramente hanno a cuore le sorti di Israele, dovrebbero lasciar libera la Casa Bianca di spedire questo segnale Perché l'alternativa al dialogo con l'Olp non può essere, aliu lunga, che la catastrofe Igor Man lan |