La stilista Galitzine «Ecco le mie prigioni nella follia di Rebibbia»
La stilista Galitzine «Ecco le mie prigioni nella follia di Rebibbia» Era in carcere per evasione fiscale La stilista Galitzine «Ecco le mie prigioni nella follia di Rebibbia» ROMA. Irene Galitzine è tornata ieri a casa dopo otto giorni di Rebibbia, quasi incredula di essere stata rinchiusa nel peggior carcere romano per una condanna fiscale di cui era all'oscuro. Ma per la settantenne principessa russa fuggita in Italia ai tempi della rivoluzione d'Ottobre, quei giorni di reclusione non sembrano essere stati altro che un capitolo di una vita movimentata. Così fresca e vitale appare la stilista, il giorno dopo il ritorno, perfetta nell'abito di jersey rosso e nei suoi gioielli abituali. E tanto vivo è il racconto della settimana passata nell'infermeria, tra detenute di ogni età e razza («tutte dentro per droga, ma chissà se colpevoli»). Si scusa, la principessa, per il disordine della casa, oltre che per le continue telefonate («se non fosse stato per il freddo, quasi ero più tranquilla a Rebibbia»). Ha appena traslocato dall'appartamento nel palazzo Colonna all'Ara Coeli dove aveva vissuto per tanti anni col marito Silvio Medici, da poco scomparso. I cristalli dei lampadari sono ancora sui divani foderati di plastica, le abat-jour giacciono scoperchiate sulle consollles. Ma una parte dei libri russi («eredità di un vecchio zio, un po' strano, che a Roma a fine secolo aveva una villa piena di oggetti e anche quel trumeau russo viene da li») è già al suo posto, grazie alla governante («che è appena arrivata e parla solo russo ma ha saputo destreggiarsi benissimo»). C'è profumo forte di fiori, rose e gardenie soprattutto, doni degli amici e dei colleghi («ed è stato un vero piacere, anche se fra stilisti non ci amiamo sempre molto»). Dice Galitzine: «Sono venuti i carabinieri e mi hanno detto di prendere con me qualcosa perché dovevamo andare in Questura. Per fortuna ho un beauty-case sempre pronto, perché viaggio spesso». Ma a poco le sono servite creme e profumi. «Dopo averli quasi distrutti per esaminarli, come se anch'io fossi accusata di traffi- care droga, non mi hanno permesso di portare con me niente. E uno spazzolino e una Nivea li ho comprati dentro». Aggiunge: «Ho scoperto che molte donne, vigilatrici e detenute, mi conoscevano. Una piacevole sorpresa». Forse per questo con le compagne di cella la principessa ha fatto subito amicizia. «Maria, una grassona romana alla Aldo Fabrizi che è un po' la regina dell'infermeria, appena arrivata mi ha messo in mano una borsa di plastica con le lenzuola, la coperta e tutto l'indispensabile. E mi ha fatto persino il letto. Ci dividevamo il lavoro. Un'olandese puliva, io lavavo i piatti. Il cibo? Mangiavo poco, un'insalata, una pastasciutta. Ma non era cattivo. La vita un giorno dopo l'altro passa, fra incontri con gli avvocati, le tante cose a cui pensare. Il problema è la notte, con le grida delle pazze che devono restare perché i manicomi non le vogliono. L'ora migliore è verso sera, quando le celle si chiudono e si guarda la piccola televisione: tenuta insieme con lo scotch. Perché? Perché una detenuta si è mangiata le viti» Maria Grazia Brurzone Laprìi •a Irene Galitzine
Persone citate: Aldo Fabrizi, Galitzine, Irene Galitzine, Maria Grazia Brurzone, Silvio Medici
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