Ostaggi, Mitterrand nella bufera

Ostaggi, Mitterrand nella bufera FRANCIA-LIBIA «Tripoli, non Abu Nidal dietro il sequestro e il rilascio della bimba e dei genitori» Ostaggi, Mitterrand nella bufera La stampa condanna la trattativa con Gheddafi PARIGI NOSTRO SERVIZIO Al primo momento di euforia diplomatica - che aveva spinto l'Eliseo e il governo a ringraziare fin troppo calorosamente il colonnello Gheddafi per la sua media/ione - è subentrata una pausa di cauta riflessione. La Francia si è accorta di essersi spinta troppo avanti sulla strada dei ringraziamenti per l'opera di convincimento che i libici hanno esercitato su Abu Nidal, che fino a 48 ore fa deteneva l'ultimo ostaggio francese in Libano. Jacquelìne Valente, il suo compagno belga e la piccola Sophie-Liberté ieri hanno ritrovato la pace e la tranquillità. Ma loro, i diretti interessati, tacciono. Perché in Libano sono ancora prigionieri di Abu Nidal quattro parenti, cittadini belgi. E tace ormai anche il governo francese, dopo il fuoco di accuse della slampa britannica, indignata per il «mercanteggiamento» con Gheddafi. Accuse in parte riprese da «Le Monde» («la logica che conduce a tratta¬ re con i padrini dei rapitori è così perversa che consente loro di intascare i benefici morali di crìmini di cui sono complici») e da «Le Figaro» («Gheddafi ha costretto il governo a salutarlo con riverenza solo perché si è comportato come un volgare rapitore»). I due giornali francesi riprendono anche le «voci insistenti» secondo cui «fu una nave della marina libica a sequestrare l'imbarcazione su cui viaggiavano la Valente, i suoi amici belgi e i loro figli», e «i tre ostaggi non erano detenuti in Libano, ma nella stessa Libia», mentre fonti della famiglia Valente insistono nel dire che i tre liberati sono stati tenuti prigionieri in un grande appartamento nel Libano meridionale nel quale hanno potuto condurre una vita quasi normale di famiglia. In effetti solo gli inglesi - che mai hanno intavolato trattative con i rapitori libanesi - possono scagliare la prima pietra. Gli altri non sono in grado di impartire lezioni di moralità a Parigi. I tedeschi hanno addirittura co¬ struito la fabbrica di armi chimiche di Rabta, oggi tanto contestata. Gli americani hanno sì bombardato il quartier generale di Gheddafi ma non si sono tirati indietro quando è stato loro proposto un baratto per la liberazione degli ostaggi di Beirut: fu l'Irangate che fece scendere gli indici di popolarità di Reagan. Quindi scandalizzarsi di fronte al presunto scambio di tre Mirage (peraltro a suo tempo regolarmente acquistati dalla Libia) in riparazione in Francia contro i tre ostaggi di Abu Nidal può sembrare ipocrita, in bocca alla maggior parte degli alleati di Parigi. Ma siccome il colonnello Gheddafi non fa nulla a caso, nel campo delle pubbliche relazioni, ecco giungere un'altra chiave di lettura della vicenda Valente-Abu Nidal. Ieri il «Teheran Times», giornale portavoce degli ayatollah al potere in Iran, ha invitato alla liberazione «di tutti gli ostaggi indipendentemente dalla loro nazionalità, religione o fede politica». Un appello simile a quello lanciato martedì dal colonnello Gheddafi. Libia e Iran, dunque, i due Stati maggiormente accusati di essere dietro ai rapitori di Beirut, marciano all'unisono. E nel frattempo le voci di un serrate nelle trattative tra gli americani e gli hezbollah filoiraniani che detengono otto cittadini Usa nelle celle di Beirut si fanno più intense. Sono tutti segnali che ci si potrebbe trovare di fronte a una svolta, alla prossima liberazione dei 21 ostaggi occidentali ancora prigionieri in Libano. Altre volte le speranze sono andate deluse, e quindi occorre procedere con cautela. Ma la guerra di potere in corso a Teheran potrebbe volgere a favore delle «colombe» desiderose di normalizzare i rapporti con l'Occidente. E a Tripoli il vulcanico colonnello potrebbe aver considerata necessaria una sterzata nella sua politica di scontro frontale con Washington e Londra. Paolo Potetti