Tutti i rischi delI'informazione-spettacolo di Renato Rizzo

Tutti i rischi delI'informazione-spettacolo Si è concluso a Torino il convegno internazionale sulla grafica nei quotidiani degli Anni 90 Tutti i rischi delI'informazione-spettacolo Esperti divisi sull'opportunità, per i giornali, di imitare la tv TORINO. La rivoluzione grafica che ha coinvolto buona parte dei giornali americani ed europei nell'ultimo decennio è stata la risposta ad un'altra rivoluzione: quella iniziata e cavalcata dalla televisione, che ha rinnovato il nostro modo di valutare e percepire le notizie portandoci sempre più verso un giornalismo di tipo «visuale». E oggi quest'abitudine (che per alcuni è vizio), fa dire a Roger Black, uno dei massimi esperti statunitensi del settore: «I giornali che non adottano una nuova veste grafica sono monchi. Sarebbe come se uno scrittore utilizzasse, in un articolo o in un libro, solo alcune vocali, tralasciandone di proposito altre». Nell'ultima giornata del convegno internazionale organizzato dall'Ifra, (l'Istituto europeo di consulenza editoriale e tecnologica per i giornali) sulla progettazione grafica de) quotidiano degli Anni 90, e presiedu- to dall'amministratore delegato de «La Stampa», Paolo Paloschi, c'è stato un «convitato di pietra»: il lettore con le sue rinnovate esigenze, i suoi mutamenti mentali, portato, anche dalla scarsità di tempo libero, più a scorrere distrattamente che a leggere un giornale. Una realtà che, se in Italia e negli altri Paesi d'Europa non è ancora radicata, negli Stati Uniti ha fatto scendere in quest'ultimo decennio dal 71 a 60 per cento la percentuale di chi legge quotidiani, facendo contemporaneamente salire del 50% il numero delle emittenti televisive. Che fare per impedire quest'emorragia di affezionati del giornale? Per Black c'è un unico sistema: che Maometto (il quotidiano) vada alla montagna (il pubblico) presentando in modo più gradevole ed immediato, proprio con l'uso puntuale della grafica, le sue notizie: «E' sbagliato pensare che la gente, oggi, abbia meno tempo: ha semplicemente voglia d impiegarlo in modo diverso, magari attraverso un'informazione che sia anche "intrattenimento"». La quadratura del cerchio, secondo lo studioso americano., sta nella realizzazione d'un difficile equilibrio: notizie concise ed illustrate, ma in un giornale che non rinunci alla propria identità. E cita, come esempio in Europa, il rinnovamento de «La Stampa», giornale che ha cambiato volto, ma ha conservato la propria anima. Ma la grafica, ha osservato Juan Antonio Giner dell'Università di Navarra, è spesso erroneamente, intesa da molti editori come una bacchetta magica per risolvere i problemi d'un quotidiano in crisi: «Ma la qualità di un vino non migliora disegnando una nuova etichetta alla bottiglia e i guai di un'auto non spariscono cambiando la carrozzeria, aggiun¬ gendo fari antinebbia o nuovi tappetini di moquette». Di fronte a tali operazioni di pura cosmesi che non toccano i contenuti, Giner osserva, con il giornalista Harold Evans: «Il problema vero non consiste nel sapere se la stampa continuerà o no ad esistere, ma nel sapere se ciò che esisterà avrà qualcosa a che vedere con il giornalismo». Nei confronti della televisione il docente spagnolo propone un'analisi completamente diversa rispetto al punto di vista di Roger Black: il giornale non deve imitare pedissequamente il modo in cui la tv offre informazione-spettacolo. Secondo Giner, proprio nel caramelloso giornalismo televisivo sta, per assurdo, il maggior aiuto che la tv può dare ai quotidiani: gli spettatori, a lungo andare, si stancano di «mangiare» dolci ogni giorno. Renato Rizzo

Persone citate: Giner, Harold Evans, Juan Antonio Giner, Paolo Paloschi, Roger Black

Luoghi citati: Europa, Italia, Stati Uniti, Torino