Libera la bimba nata ostaggio a Beirut

Libera la bimba nata ostaggio a Beirut Per intercessione di Gheddafì, che chiede all'Occidente di rilasciare i «detenuti politici» arabi Libera la bimba nata ostaggio a Beirut La madre francese era stata catturata su uno yacht da Abu Nidal PARIGI NOSTRO SERVIZIO Di questa vicenda ci ricorderemo soprattutto gli occhi dolci e smarriti di Sophie Liberté, due anni. Ieri mattina guardava stupita un albero, nel giardino dell'ambasciata francese a Beirut. Stringeva la mano deliamamma, Jacqueline Valente. Non aveva mai visto un albero, Sophie, perché è nata nella prigione di Abu Nidal, il più feroce terrorista del mondo. Ieri ha scoperto la libertà. Grazie all'intervento del colonnello Gheddafì che per una volta ha assunto il ruolo di salvatore. Se non ci fossero le fotografie e i dispacci di agenzia si sarebbe tentati di credere ad una storia fìnta. Invece la sorte di Jacqueline Valente, una bella trentenne lionese partita due anni fa per un giro del mondo in barca e finita nelle mani di Abu Nidal, appassiona la Francia inte- ra. Ieri sera Jacqueline ha messo piede sulla pista di un aeroporto parigino. In braccio aveva la piccola Sophie Liberté. Accanto il compagno Fernand Houtékins, cittadino belga. Due anni e mezzo di prigionia nelle carceri libanesi di Abu Nidal venivano dimenticati in fretta, nell'euforia della libertà ritrovata. Ma su questa vicenda plana l'ombra di un Gheddafì che a quanto pare — dopo la montatura della fabbrica di Rabta — si è lanciato in un'operazione di riconquista dell'opinione pubblica occidentale. Almeno di quella più disposta a concedergli credito. Una settimana fa Gheddafì aveva pregato l'amico Abu Nidal di liberare l'ultimo prigioniero francese in Libano. Il suo desiderio è stato rapidamente esaudito, valendogli i ringraziamenti ufficiali della Francia — in un messaggio di Mitterrand — per il «gesto no- bile ed umanitario», come lo ha definito il ministro degli Esteri Dumas. Gheddafì non ha perso tempo ed ha speso questo capitale di improvvisa credibilità chiedendo la liberazione «di tutti i prigionieri politici mediorientali detenuti in Europa e negli Stati Uniti». L'elenco è lungo e comprende alcuni dei nomi più noti del terrorismo internazionale. Ma secondo il colonnello questa sorta di sanatoria internazionale potrebbe portare da una parte alla liberazione dei 21 ostaggi occidentali (di cui otto americani) ancora detenuti nelle celle di Beirut, e dall'altra all'abbandono del terrorismo da parte di molti gruppuscoli palestinesi, come «Fatah-Consiglio Rivoluzionario» di Abu Nidal. In attesa di decidere se vale o meno la pena di credere a Gheddafì, scorrono davanti agli occhi le immagini dell'odissea degli otto del «Sileo». Era il peschereccio che Jacqueline Valente, il compagno, i cognati con rispettivi figli avevano adibito a casa galleggiante per realizzare un vecchio sogno di libertà: raggiungere l'Australia via mare, partendo dalla Costa Azzurra. Ma la mattina dell'8 novembre 1987 l'incontro che non doveva aver luogo: al largo di Gaza un battello di Fatah-Cr aveva abbordato il «Sileo», ritenuto un peschereccio-spia degli israeliani. Per la Valente e gli altri iniziavano due anni di incubo. Ignorati dai governi francese e belga che vedevano in loro solo degli avventurieri, erano stati definiti «gli ostaggi dimenticati». Ora nelle celle di Abu Nidal restano gli ultimi quattro del «Sileo», tutti belgi. Ma Bruxelles non intende occuparsi di questa bizzarra vicenda. Paolo Potetti La piccola Sophie- Liberté, figlia di jacqueline Valente, sorride felice mostrando il giocattolo che ha ricevuto all'ambasciata francese di Beirut dopo la liberazione