QUANTE IPOCRISIE SUL CASO LITUANO di Sergio Romano

QUANTE IPOCRISIE SUL CASO LITUANO Nomarmi da gorbaciov QUANTE IPOCRISIE SUL CASO LITUANO IL «copione» lituano ci ha colti di sorpresa. Aspettavamo una prova di forza, nello stile degli avvenimenti ungheresi del 1956 o di quelli cecoslovacchi del 1968. E per salvare la Lituania abbiamo creduto sufficiente ammonire l'Urss che l'uso della forza avrebbe pregiudicato la distensione e modificato il nostro giudizio sulla perestrojka. Ne e risultato un falso dialogo in cui l'Occidente chiedeva assicurazioni che l'Urss poteva dare a cuor leggero, senza essere costretta a modificare di una virgola i propri progetti di restaurazione lituana. Non aveva bisogno della forza perché disponeva d'altri mezzi con cui ridurre i lituani alla ragione. In un territorio esterno avrebbe dovuto, prima o dopo, introdursi con la violenza. In una «provincia» dello Stato, le e bastato prosciugare gradualmente quel po' d'acqua in cui ha nuotato per qualche giorno il pesce piccolo della libertà lituana. Non è sempre necessario, per prendere una città, abbatterne le mura. Basta stringerla d'assedio e «renderle la vita impossibile», secondo il consiglio che Mussolini dette al prefetto di Torino quando volle risolvere una volta per tutte il caso Gobetti. Vi sono circostanze in cui i potenti, per imporre la loro volontà, non hanno neppure bisogno di usare la violenza. Possono limitarsi a impiegare la forza anonima e incruenta delle misure amministrative e delle sanzioni economiche lasciando sullo sfondo il minaccioso rumore dei carri armati. I provvedimenti minacciati dal Consiglio presidenziale che si è riunito lunedì scorso a Mosca, alla presenza di Gorbaciov, non sono l'inizio della fine. Sono probabilmente l'ultimo atto di un dramma su cui avevamo sovrapposto, per difetto di prospettiva storica, la sequenza di un copione diverso. Certo, l'assedio sarebbe stato più lungo e diffìcile se i lituani avessero opposto maggiore resistenza e non avessero deciso di attenersi allo scenario tedesco e cecoslovacco della «rivoluzione di velluto». Forse non potevano fare diversamente. Forse hanno dimenticato che il sangue, anche se l'affermazione potrà sembrare retorica e datata, è ancora l'unica moneta con cui si compra la libertà. Non sappiamo che cosa l'Occidente avrebbe fatto, per aiutare i lituani a conquistare l'indipendenza. Ma sappiamo che è pressoché impossibile aiutare un popolo se esso preferisce evitare, per ragioni umanamente comprensibili, la «prova del sangue». Fra le ragioni che hanno permesso ai sovietici di vincere la partita lituana ve n'è un'altra, meno tangibile, su cui occorre fare chiarezza, Gorbaciov ha vinto grazie a una sorta di rcat to. Ha sfruttato la propria debolezza e ha valorizzato a proprio vantaggio la crisi del sistema sovietico. Ha lasciato intendere al mondo che la sua sorte politica e la sua credibilità di riformatore dipendevano in Unione Sovietica, alla vigilia del congresso del partito, dalla sua capacità di evitare la disintegrazione dello Stato. Ci ha convinti che il sacrifìcio della Lituania avrebbe salvato la perestrojka. Peninogli americani, nonostante qualche impennata verbale in occasione della visita di Shevardnadze a Washington, hanno generalmente evitato di creargli troppe difficoltà. Se questi sono gli argomenti con cui l'Occidente giustificherà la propria politica, converrà, per amore di chiarezza, dissipare qualche malinteso. Permettendo a Gorbaciov di rimettere ordine a Vilnius non abbiamo salvato la perestrojka, di cui ignoriamo ormai i contenuti e le prospettive. Abbiamo semplicemente aiutato Gorbaciov a conservare il potere. E' possibile che egli sia oggi, per l'Occidente, il miglior leader sovietico e che il suo interesse a evitare la disintegrazione dello Stato coincida sostanzialmente con il nostro. Abbiamo strappato all'Urss, senza grandi me citi e senza colpo ferire, i satelliti del suo sistema europeo. Buona parte della nostra politica, nei prossimi anni, sarà assorbita dalla necessità di costruire, con i materiali di un impero distrutto, nuovi equilibri politici e economici. Non sarà facile riunificare la Germania, risanare l'economia polacca, cecoslovacca e ungherese, evitare lo smembramento della Jugoslavia e sfamare la Romania senza rimettere in discussione i punti fermi della politica occidentale, dall'Alleanza Sergio Romano CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA

Persone citate: Gobetti, Gorbaciov, Mussolini, Shevardnadze