IL TEATRO DI HAVEL DA' SCACCO AL POTERE

IL TEATRO DI HAVEL DA' SCACCO AL POTERE IL TEATRO DI HAVEL DA' SCACCO AL POTERE sua attività politica, che culminerà con la firma di Charta 77 e con la condanna a quattro anni di carcere. Ossessionato dall'idea del socialismo etico, Havel ha applicato la sua spinta ideologica a commedie in cui il camuffamento, la smorfia comica, la capriola psicologica diventano la metafora di un'eversione condotta con implacabile tenacia. Dalla prima commedia, «Autostop», a «I migliori rock della signora Hermanova», a «L'angelo custode», a «Festa agreste» (tutte degli Anni 60), Havel mette a punto i congegni di un meccanismo teatrale che darà i risultati più convincenti nelle opere degli Anni 70 («I congiurati», «Udienza», «Vernissage», per esempio). In tutte queste opere Havel si muove col passo saltellante del buffone nordico, grigio e contratto, si insinua fra i congegni assurdi del potere, ne mostra la gratuità, la crudeltà, il burocratismo cieco. Kafka insegna. E insegna Brecht. E insegnano tutti gli autori ideologici che Havel assume come padri con¬ siglieri e come elaboratori di situazioni sulle quali interviene con nuovo vigore polemico. Non è un caso che nel 1972 abbia scritto «La commedia dello straccione», che riprende anche nel titolo l'opera di John Gay e si riallaccia al gran rifacimento che ne diede Brecht con «L'opera da tre soldi». Havel riscrive la «Beggar's Opera» a modo suo, tenendo d'occhio la tesi sul servilismo politico che ci rivela all'ultima battuta: «Il miglior servitore è colui che non sa di esserio». Paradossi, rovesciamento di luoghi comuni, freddure. Ma, anche se certe pagine sono irresistibili, senti che, nel fondo, hanno l'acidulo della stizza. Havel non arriva mai alla grandiosità pittorica di Gogol, tuttavia i suoi burocrati, i suoi proletari, i suoi intellettuali sono ugualmente memorabili per quella legnosità burattinesca che li irrigidisce nella mancanza di senso. Diventa quindi esemplare «Largo desolato», commedia dell'84. VACLAV Havel è il com | mediografo dal sorriso j di ghiaccio. E' cosi freddo, quel sorriso, j cosi intimamente geli- ] do. che potresti defi- j nirlo ideologico. E non | sarebbe sbagliato. Poiché per Havel il teatro è uno dei grimaldelli capaci di far saltare le rugginose serrature del potere politico, il passepartout che mette di fronte, in una sorta di duello astratto, l'uomo e la degenerazione burocratica del socialismo. Per questo autore divenuto una bandiere del rinnovamento cecoslovacco, tanto da essere nominato presidente della Repubblica, politica e teatro sono strettamente connessi, si integrano e si spiegano a vicenda. Oggi Havel ha 54 anni. Ha cominciato a lavorare per il palcoscenico fin dai primissimi Anni 60, prima come macchinista del teatro «Na Zàbradli» (Alla ringhiera) poi come drammaturgo. Guarda caso, gli esordi artistici coincidono con l'insorgere della DI scritta subito dopo l'esperienza del carcere e ripubblicata ora da Ubulibri con una introduzione di Gianlorenzo Pacini e, in appendice, le «Poesie tipografiche» e le «Sei osservazioni a proposito della cultura», che circolano in Cecoslovacchia tuttora clandestinamente. Che cos'è «Largo desolato» se non uno spietato ed enigmatico confronto fra l'individuo e il potere? Il protagonista, Leopold, è un filosofo dissidente disposto a subire le conseguenze della libertà del proprio pensiero. Vive in un ambiente ristretto e meschino. Gli operai lo considerano un maestro e aspettano da lui l'opera che li affrancherà definitivamente dall'oppressione. " potere cerca di indurlo all'abiura, anzi alla negazione della propria identità, in cambio del quieto vivere. Leopold ondeggia fra i due poli. Vittima di perso¬ fin" biura, anegazionpropria in camquieto Leopold gia fra i Vittima d Si tratta di una immagine della divinità, che è al tempo stesso una sorta di bussola della psiche, evidentemente molto diversa da quelle tramandate dalle religioni storiche; caso mai essa si apparenta a delle figure simboliche presenti in filoni generalmente trascurati della nostra storia culturale, quale ad esempio la speculazione alchimistica. In particolare, il Cristianesimo ha espunto dalla immagine di Dio ogni rappresentazione del male; analogamente, si potrebbe dire, la psicoanalisi freudiana, con una sorta di celato ottimismo, tende a favorire l'adattamento alle regole sociali inteso come valore indiscutibile. La compresenza di bene e di male nell'immagine divina restituisce invece all'individuo la piena responsabilità delle scelte morali e lo apre al dialogo con le voci che, provenendo dall'inconscio, mettono in dubbio l'assetto stabilizzato della sua vita. Il processo analitico, con i sogni e le fantasie che lo sostanziano, appare in questa prospettiva come uno dei mezzi più idonei, e insieme più impegnativi, per la piena realizzazione delle potenzialità individuali.