Don Alfonso dice no anche ad Occhetto di Francesco La Licata

Don Alfonso dice no anche ad Occhetto Dalla «ribellione» alla Chiesa e alla de negli Anni Settanta al rifiuto del nuovo corso comunista Don Alfonso dice no anche ad Occhetto L'ex parroco di Sambuca ora lascia la poltrona di sindaco SAMBUCA PI SICILIA DAL NOSTRO INVIATO Non c'è pace nell'antica terra di Zabut. Ma questa volta non c'entra la maledizione dei preti sposati, una «malattia» che, per ben quattro volte, ha privato la comunità dei loro parroci, rapiti dalla vocazione al matrimonio. A mettere in agitazione l'irrequieta comunità della Valle del Belice, questa volta è la politica. Sambuca la rossa, la «piccola Mosca», dove le strade sono intestate a Berlinguer e Togliatti, perde il suo sindaco storico, l'uomo che meglio incarna le tradizioni del passato e le incertezze del presente. Alfonso Di Giovanna, ex prete (capriccio del destino!), ex parroco, oggi sposato e padre adottivo di una bambina guatemalteca, lascia. Non sarà candidato alle prossime elezioni. Dopo una vita trascorsa sulla barricata, dopo la ribellione «al clientelismo democristiano» degli Anni Cinquanta, dopo lo strappo con la Chiesa del cardinale Ruffini che accusò di «autoritarismo ed invadenza politica», Alfonso Di Giovanna entra in conflitto anche con l'altra Chiesa, il suo partito. E perché mai? Lui preferisce smorzare i toni, parla di schieramenti, del nuovo corso, della distanza con la tesi di Occhetto. Ma le maldicenze ammiccano ad altro. Al coinvolgimento della sua famiglia in fatti di mafia, alle rivelazioni di un pentito che racconta: «Una volta vidi Liggio in compagnia di Di Giovanna, il fratello del sindaco di Sambuca». «Non c'entra questa storia - taglia corto l'ex prete - che, tra l'altro, risale a due anni fa. Già allora avevo chiesto al partito se fosse stato il caso di dimettermi, ma mi fu risposto che non era necessario. No, i motivi sono altri, il nuovo assetto del partito...». Eccolo il ribelle. Come trent'anni fa non esita a sbattere la porta. Ecco il personaggio, ostinato e polemico, religioso e «rosso», che la gente continua a chiamare don Alfonso, come quand'era parroco. Sono in tanti a dire che la sua storia s'intreccia con quella del paese. Che risulta quasi la naturale conseguenza di un patrimonio collettivo, maturato da una comunità che ha vissuto tutti i ribellismi: dalle camicie rosse garibaldine, ai Fasci siciliani, all'occupazione delle terre. A Sambuca tutti fanno politica, già 40 anni fa le donne tenevano i comizi. Ed è il paese dove i preti spesso diventano laici. La leggenda dice che è colpa degli imani arabi, fondatori del paese che chiamarono Zabut. Anzi colpa dei loro spiriti, rimasti a vagare dopo che una ruspa abbatté una vecchia chiesa cattolica, a sua volta edificata sui ruderi di un'antica moschea araba, dove i saraceni avevano sepoltura. La loro vendetta, si dice, allontana i preti dall'altare. L'ultimo è stato don Pino Vinci. A 32 anni, la scorsa estate, si è sposato con una ragazza del paese. I pettegolezzi? «Passeranno», avevano detto don Pino e Maria, la sua sposa. Così è stato. D'altra parte, la gente si è pure abituata. Don Pino è il quarto prete ad aver lasciato l'abito talare. Tutto cominciò con don Alfonso Di Giovanna. Era l'estate del 1974 e il parroco, direttore del giornale «La voce di Sambuca», insieme con altri giovani preti, aveva dato vita ad un gruppo molto attivo nella Valle del Belice. La rottura con la Chiesa avvenne sul divorzio. «Avevamo una posizione di apertura - ricorda Di Giovanna - verso le ragioni dei laici. Eravamo convinti che le coscienze dovevano essere lasciate libere». Fu un cataclisma. Le autorità della curia intervennero e il gruppo fu praticamente sciolto. Alfonso Di Giovanna si trasferì a Torino, divenne prete operaio. A Torino conobbe un'ex suora, la donna che avrebbe poi, tre anni dopo, sposato. «Chiesi la dispensa che mi venne accordata. Perché ho lasciato? Non avevo mai condiviso l'atteggiamento della Chiesa siciliana nei confronti del gruppo di potere egemone. Un puntello per alcuni uomini della de discussi e discutibili. Eppure noi preti eravamo costretti a tacere, e a volte ci chiedevano perfino di consigliare la gente a votarli». Prima del divorzio don Alfonso si era scontrato col cardinale Ruffini. «Avevo aderito ricorda - all'unione siciliana dei cristiano-sociali. Era un modo per cercare di scuotere la de. Ma nel 1960 ci voleva ben altro. Ruffini rappresentava proprio la massima espressione di quel patto tra potere politico e la Chiesa dei potenti». Il gruppo di preti, comunque, faceva la sua strada. Sulle denunce di don Alfonso, scriveva Carlo Levi nel I960- «Un nobile atto di coraggio, nato da un potente impulso evangelico, da un bisogno religioso di rinnovamento morale, dal disagio e dal turbamento della confusione di religione con politica». Oggi, a trent'anni di distanza, Alfonso Di Giovanna dice: «Non ho mai smesso di essere prete. La mia ansia di impegno nel sociale non è morta. Ho fatto il sindaco con lo stesso spirito di quando ero parroco. Ho aderito all'invito del partito, nel 1980, con lo stesso entusiasmo di quando presi i voti, convinto che non mi sarebbe stato impedito di stare in mezzo alla gente, fra i bisogni della gente. No, non c'è nessuna maledizione a Sambuca. I preti si sposano semplicemente perché il celibato è una regola disumana». Stesse parole disse don Pino Vinci: «La mia è una scelta di coscienza che va rispettata. Ho l'anima libera nel compiere questo passo. Ma occorre tanto coraggio per farlo. Dentro la chiesa sci tutto, luori nessuno». Ed anche per gli altri, non dev'essere stala una scelta facile; specialmente se si considera l'epoca in cui disertarono don Paolo Gulotta e don Antonino Sczillo, quest'ultimo ora insegnante a Menfi. vicino ad Agrigento. E adesso? Che farà don Alton so? Diventa ex comunista e salta su un'altra barricala? «No, resto nel partito. Sono sereno, non e detto che uno debba fare il sindaco per sempre». Ma il modo con cui Di Giovanna ha comunicato al partito che non sarà candidato alle prossime amministrative, la dice lunga sulla reale volontà di arrendersi. Ha scritto ai dirigenti poche parole: «Ho sentito che sarei d'impedimento alla realizzazione dei programmi di progresso nel paese. Se è cosi, non mi presenterò». Sembra quasi una sfida. Francesco La Licata

Luoghi citati: Agrigento, Menfi, Mosca, Sicilia, Torino