CASES, I SETTANT'ANNI DI UN CRITICO «LA NARRATIVA TEDESCA NON CE' PIÙ'»

ICASES, I SETTANTANNI DI UN CRITICO «LA NARRATIVA TEDESCA NON CE' PIÙ'» ICASES, I SETTANTANNI DI UN CRITICO «LA NARRATIVA TEDESCA NON CE' PIÙ'» star certi che li ho dimenticati, perché sono un tipo masochista, che ricorda soltanto quello che non ha funzionato. Oggi quali sono gli autori tedeschi che sente più vicini? Tra i viventi direi nessuno. L'ultimo grande scrittore di lingua tedesca è stato Bernhard. Frisch e Dùrrenmatt sono svizzeri. Handke lo sopporto male e Botilo Strauss lo trovo noioso. Un argomento quasi obbligato: Lukacs, sul quale ha scritto una volta di aver proiettato l'immagine del Padre. Il suo rapporto con l'autore di «Storia e coscienza di classe» è cambiato molte volte. A che punto siamo oggi? La mia formazione ideologica risale a Lukacs anche se molte cose, come il realismo socialista, si sono rivelate fallimentari o inesistenti. Tanto per fare un esempio, l'alternativa posta da Lukacs fra Thomas Mann e Franz Kafka - e da lui risolta a favore di Mann - è stata smentita clamorosamente dai fatti. Oggi è chiaro che Kafka si è rivelato in tutta la sua grandezza, mentre proprio le utopie umanisticoborghesi di Thomas Mann che piacevano a Lukacs non convincono più. Egli resta comunque un pensatore di notevole statura, il quale anche nelle sue unilateralità, nei suoi eccessi e giacobinismi ha costantemente fornito l'esempio di un intellettuale che non accetta, che non si arrende all'esistente. Oggi regna invece la convinzione secondo cui bisogna lasciare che le cose seguano il loro corso, e che l'economia stessa, le forze stesse del mercato risolveranno tutto. Di fronte ad una simile impostazione preferisco sinceramente fare la fine di Lucàcs e teorizzare il realismo socialista, piuttosto che assomigliare a quelli che ormai si avventano come iene su chiunque metta in dubbio l'assoluta necessità del capitalismo, diventato l'alfa e l'omega, la panacea di tutti i mah. La sinistra intanto si muove, il pei si rifonda... Mah, direi che se bisogna rifondare qualcosa ciò deve avvenire a scapito soprattutto del sostan¬ lavoravano i due studiosi — Wilkins e Kaiser — che avevano messo a punto una nuova edizione dell'Uomo senza qualità ed erano impegnati nella revisione della traduzione di Anita Rho, fui coinvolto nel lavoro. Il terzo volume del romanzo, a causa di una crisi personale dell'ottima traduttrice, era purtroppo mal tradotto e i due erano inferociti. Così mi sono incaricato di migliorare la traduzione e ho poi scritto l'introduzione al volume. Ma Musil, come Lukàcs, non l'ho introdotto io. Aveva già sfondato con il primo volume del romanzo, che resta il più leggibile. Certo, poi ho scritto altre cose su Musil e quest'anno sono stato insignito della «Musil-Medaille» da parte dell'archivio di Klagenfurt. Rifiuta dunque il ruolo di «importatore» culturale che le è stato attribuito? Semplicemente, non voglio apparire più di quello che sono. Certo, il mio ruolo è stato importante all'interno della casa editrice, ma non determinante come si tende a credere. Prendia¬ mo Brecht: l'ho curato molto, ho fatto uscire la seconda edizione del teatro. E' stato affidato in gran parte a me. Però, Brecht è una scoperta di Castellani e di Renate Mertes Bertozzi, che sono andati a trovarlo e a fargli firmare un contratto. Come vede io c'entro poco, non ho «importato» Brecht che, tra l'altro, era nemicissimo di Lukacs. Ci sono autori che sente di aver realmente scoperto? Mah, se ci song, non sono stati pubblicati. Uno che ho individuato subito era Thomas Bernhard, ma Einaudi non l'ha preso. Quando poi è arrivato Calvino, entusiasta di ciò che aveva letto di Bernhard in francese e che alle riunioni, guardando me, diceva, «ma è possibile che nessuno abbia mai segnalato questo autore?!», allora Einaudi finalmente si decise. Per fortuna in quell'occasione c'era Davico Bonino, che potè testimoniare in mio favore. Ecco, questa è la sorte di quelli che raccomando io... E poi se ci sono stati casi coronati dal successo, scaturiti da una «divina ispirazione», si può