Kieslowski, lo stile di Lietta Tornabuoni

Kieslowski, lo stile PRIME CINEMA I primi 2 film del «Decalogo», 10 storie esemplari Kieslowski, lo stile E' il nuovo talento del cinema europeo Bellissime immagini, interpreti eccellenti SONO i due primi, bellissimi film d'una serie di dieci, ciascuno di un'ora circa, realizzati per la televisione polacca da Kieslowski ripensando i dieci comandamenti della religione cattolica: per «dare uno sguardo concreto all'insieme di norme morali vigenti da migliaia di anni» da un punto di vista «non religioso, non cristiano, invece laico», mirando «non a una semplice illustrazione né al tono moralistico, alle lezioncine, ai buoni consigli» ma «a raccontare storie, a dialogare con gli spettatori su cose che considero essenziali, quali il senso della colpa e l'esperienza del male». Polacco quasi cinquantenne di formazione documentaristica, debuttante nel 76 nel lungometraggio con «Blizna» (La cicatrice), spesso ostacolato dalla censura, Kieslowski è il nuovo talento del cinema europeo, acclamato come un artista di creatività e rigore esemplari, accompagnato nei festival da grandissimo successo critico, amato, premiato, analizzato, studiato anche in una recente «Personale» al Museo del Cinema di Torino. Le storie del «Decalogo», collocate in una società non definita politicamente, ambientate in un anonimo caseggiato moderno alla periferia di Varsavia, con personaggi mutevoli interpretati da attori eccellenti, scritte dal regista insieme con l'avvocato Krzysztof Piesie- wicz, basate su aneddoti semplici e insieme misteriosi come casi giudiziari, vengono presentate nei cinema a coppie successive. «Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio fuori di me»: la prima storia è quella d'un docente universitario che ripone nella razionalità, simboleggiata dai computer, ogni fiducia di poter conoscere il mondo e tenere sotto controllo la realtà; sul computer calcola la resistenza della superficie ghiacciata d'un laghetto, e permette al figlio d'andarvi a pattinare; ma il caso, la fatalità, l'imprevedibilità della vita sono incontrollabili, il ghiaccio cede, il bimbo muore; scagliandosi disperato contro un altare, l'uomo impreca al Dio di cui ha sempre negato l'esistenza. «Non nominare il nome di Dio invano»: nella seconda storia, la moglie d'un malato terminale di cancro vuol costringere il medico a dirle se il marito vivrà oppure no. Se il marito vivrà, la donna intende interrompere la gravidanza frutto del suo rapporto con un altro uomo; se il marito morrà, porterà avanti la gravidanza. Il medico non vuole assumersi prerogative divine, anche l'etica professionale gli impedisce un simile verdetto: eppure alla fine sentenzia «morirà» per salvare la vita del bambino futuro, e non avrà a pentirsene. In storie lineari e fin troppo esemplari, in una tematica trasparente, Kieslowski introduce la realtà psicologica indagata con intelligenza sensibile, la realtà esterna colta con grande acume, gli elementi metafisici. Tra fede e incredulità, tesi e disincanto, è bellissimo lo stile, lo sguardo ravvicinato ed esatto, profondo e senza sentimentalismi. Sono soprattutto bellissime le sue immagini dense, assolute e eloquenti, la rappresentazione della solitudine e del dolore, l'analisi d'un modo di vivere destabilizzato e privo di senso. Lietta Tornabuoni Il regista del Decalogo, Kieslowski

Persone citate: Kieslowski, Krzysztof Piesie

Luoghi citati: Torino, Varsavia