Andreotti allo scoperto di Augusto Minzolini

Andreotti allo scoperto Andreotti allo scoperto «Se sapessi di dare fastidio avrei già dato le dimissioni» ROMA. Il cortile di Palazzo Chigi deserto per la rivolta dei giornalisti. La sede del governo trasformata in un cantiere edile (è in costruzione una nuova centralina elettrica) con il palazzo leso da una profonda crepa verticale per qualche errore nella progettazione o nell'esecuzione del lavoro. E in mezzo a questo scenario desolato i segretari della maggioranza, increduli per l'assenza delle telecamere tv. Già da sola l'immagine finale del «vertice» di ieri, tra Giulio Andreotti e i segretari della maggioranza, rende lo stato di precarietà, di divisione, di incertezza di un governo che dura nell'attesa dei risultati delle prossime elezioni amministrative. E come avviene sempre in queste occasioni c'è la versione ufficiale che fa a pugni con la cronaca. Fuori dal vertice abbondano le dichiarazioni misurate e i toni smorzati dei protagonisti. Dentro, invece, c'è Giulio Andreotti che arriva a dire: «Se avessi l'impressione di nuocere ai partiti della coalizione, mi dimetterei non domani, ma... ieri»; c'è Bettino Craxi che accusa la sinistra de di «slealtà»; c'è Giorgio La Malfa che esprime giudizi non esaltanti sulla «conduzione» del governo; e, infine, c'è Arnaldo Forlani che informa gli alleati «di essere stanco di fare il pompiere». E la cronaca è un insieme di battute, di tentativi di coprire il dissenso, di accenni ad uno scontro solo rinviato. Tutto comincia con il portavoce della Presidenza del Consiglio che comunica l'indisponibilità dei segretari per la solita carrellata di dichiarazioni sotto i riflettori, facendo esplodere le proteste dei cronisti che abbandonano il palazzo e inondano le agenzie stampa di comunicati polemici. Solo dopo qualche ora si verrà a sapere che i segretari non avevano nulla in contrario. Anzi qualcuno di loro, La Malfa e Cariglia, giudica quella trovata un piccolo espediente per nascondere quello che è avvenuto nella riunione. Il «vertice» vero, invece, comincia con una lunghissima e minuziosa introduzione di Andreotti. Per un'ora e quaranta il presidente del Consiglio illustra l'iniziativa del governo, fa un richiamo, di sfuggita, agli altri partiti «a non parlare tranquillamente di coalizioni alternative con dentro il pei» e, poi, si dilunga in un'attenta spiegazione dei problemi che avrà di fronte quando tra qualche mese assumerà la presidenza della Cee per l'Italia (un vero e proprio messaggio in codice per dimostrare l'inopportunità di una crisi di governo). Ma il capo del governo non ha ancora finito di parlare che Craxi e Altissimo già mettono sul banco degli imputati la sinistra de, mentre Giorgio La Malfa spara sull'inefficenza del go: verno. «In alcune situazioni la sinistra de si è dimostrata sleale — dice il segretario socialista —, noi non possiamo accettare altre provocazioni». Altissimo lo segue a ruota e La Malfa apre, invece, il fuoco sulla «conduzione» del governo, cioè sullo stesso Andreotti: «Non sono i partiti a creare difficoltà al governo, ma, al contrario, è il governo a crearle ai partiti che ne fanno parte». E' a questo punto che dalla bocca di Andreotti esce fuori la parola «dimissioni», mentre Forlani abbandona per qualche minuto la tradizionale prudenza. «Sapete — quasi insorge il segretario della de — che ho lavorato più di ogni altro per difendere questa maggioranza. Ma certo nessuno è obbligato a stare insieme se non ne ha voglia: non ci sono alternative a questa maggioranza, ma se volete farne diverse potete, ognuno si regolerà di conseguenza». Eppoi un consiglio ai suoi interlocutori: «Qui il problema non è se il pei nel suo processo di revisione è in malafede o no. La questione è un'altra: se in campagna elettorale parlate di scenari diversi, di inserire i comunisti nel governo, alla fine favorirete solo il pei». E' il momento di maggior tensione nel vertice che si dipana in tanti scontri individuali. La Malfa risponde a tono a Forlani chiamando in causa la de «vicina» ad Andreotti che «pensa a nuovi equilibri politici nei termini di un "governissimo"». Poi, sia pure con un linguaggio più velato, si apre una nuova disputa tra il segretario del pri e Martelli sulla legge per gli extracomunistari: «E' fallita — dice il primo — visto che si sono messi in regola appena in 120 mila»; il secondo invece parla di «mistificazione»: «La legge è un successo, entro la fine del mese saranno in 200 mila, un record in Europa». Lo «stress» per la discussione e la consapevolezza che a nessuno per il momento conviene rompere alla fine addormentano la polemica. Solo Cariglia se la prende con Andreotti per aver convocato il vertice troppo tardi. E a colazione il problema diventa la guerra tra Eni e Gardini sulla Montedison. Almeno su questo c'è un accordo di massima tra i cinque: i contendenti possono rompere o mettersi d'accordo, ma debbono far presto. Augusto Minzolini

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