«Dietro quest'albero c'era la libertà» di Enzo Laganà

«Dietro quest'albero c'era la libertà» Con il sostituto procuratore di Pavia il giovane ha ricostruito le ultime ore della sua prigionia «Dietro quest'albero c'era la libertà» Cesare Casella in Aspromonte, nella zona dove fu rilasciato REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Il sopralluogo sotto il ponte che congiunge il nuovo abitato di Natile a quello vecchio è appena finito. Cesare Casella manifesta ad alta voce un desiderio: «Quell'oleandro lo voglio portare via, per ricordo». E' l'unico oggetto di questa terra dov'è stato tenuto prigioniero per due anni verso cui il ragazzo manifesti un sentimento di affetto e forse anche per questo non vuole svellere brutalmente quell'arbusto che esce di un metro dal terreno sabbioso sul greto del torrente Careri. Proprio in quel punto i suoi carcerieri gli hanno ridato la libertà. «Trovatemi un piccone», dice Cesare ai militari che lo accerchiano ma Vincenzo Calia, il sostituto procuratore della Repubblica di Pavia che conduce questo lavoro di ricostruzione dei fatti, lo dissuade: «Magari, a conclusione dei sopralluoghi, torneremo», facendo capire che nessuno ha a disposizione un piccone e soprattutto che ancora c'è parecchio da fare in questa seconda giornata aspromontana. La ricostruzione delle ultime fasi del rilascio non è laboriosa. Cesare ricorda bene quella sera del 30 gennaio. «Ho camminato - dice - per sei o forse anche per sette ore. A fianco avevo due persone: una mi teneva per mano e l'altra sotto braccio perché in testa avevo un cappuccio e riuscivo a malapena a vedere dove mettevo i piedi. Verso le 20 siamo arrivati qui e mi hanno legato all'oleandro con la catena». «Quando sono andati via prosegue - il cuore mi batteva più forte di prima perché pensavo che mi avrebbero ucciso. Mi sono nascosto per un po' e ho visto luci di auto. Non capivo il percorso che facevano ed avevo l'impressione che venissero verso di me. Poi ho capito che c'era una strada con molte curve. Mi sono fatto coraggio, mi sono liberato abbastanza facilmente». Ripercorre il tragitto fino alla spalletta sinistra del torrente, la scavalca con agilità e continua il racconto: «Sono salito sulla strada dove proprio in quel momento transitava una jeep della polizia. Ho gridato ma evidentemente non mi hanno udito. Poi il guidatore di una Al 12 mi avrà scambiato per un ubriaco. Per fortuna la terza auto, una Panda, con due persone anziane si è fermata e mi ha dato un passaggio. Ho detto chi ero ma non hanno reagito. Mi hanno però portato fino alle prime case del paese». Il sostituto procuratore non ha permesso che il ragazzo si fermasse neppure pochi minuti a casa del pensionato Salvatore Giugno che quella sera lo accol¬ se e da dove l'ex ostaggio fece la prima telefonata per avvertire della sua liberazione. A chi telefonò Cesare? «Telefonai - dice Cesare - prima al 113, ma cadde la linea. Feci quindi il 112». Sulle modalità del rilascio Calia insiste sulla versione ufficiale: «Nessuna ulteriore rata dopo il primo miliardo fu versata ai sequestratori» ed ammette che Cesare venne rilasciato perché «Giuseppe Strangio si convinse dopo essere stato trasferito a Pavia che era meglio far liberare l'ostaggio. Ma trattandosi di un pentito non ha svelato i nomi dei complici». Ecco dunque perché dell'insistenza ad individuare i tre nascondigli dove Cesare fu tenuto anche perché se si dovessero trattare di terreni demaniali si potrebbero desumere abbastanza facilmente i nomi di chi li controlla. Enzo Laganà

Persone citate: Calia, Cesare Casella, Giuseppe Strangio, Salvatore Giugno, Vincenzo Calia

Luoghi citati: Pavia, Reggio Calabria