Condannati per le sevizie in caserma

Condannati per le sevizie in caserma Undici mesi con la condizionale a due caporali e 4 soldati: «I superiori sapevano» Condannati per le sevizie in caserma Umiliavano le reclute, ma non andranno in carcere PADOVA. Il nonnismo in caserma è stato punito dal tribunale militare di Padova con sei condanne. Ùndici mesi con la condizionale a sei militari «anziani», che avevano sottoposto quattro reclute dell'avamposto di Canebola del Friuli alla «prova del piccone». Sono tutti originari delle province di Padova, Venezia e Treviso: i caporali Andrea Grigolo di Cavarzere e Gianfranco Perin di Castelfranco, e i soldati semplici Simone Fontana e Giorgio Cattelan di Albignasego, Diego Geromin di Concordia Sagittaria, Michele Scarpa di Pellestrina. Assolto per non aver commesso il fatto Adriano Giacomin di Padova. Il caporale maggiore Daniele Fiorindo, il più alto in grado dell'avamposto, dodici uomini in tutto, sarà processato più avanti per rispondere dell'accusa di non aver impedito il ripetersi del «rito d'iniziazione». Una sola delle vittime si era costituita parte civile, Vetusto Renna: ha ottenuto la «provvisionale» di due milioni, che sarà devoluta alle vittime del nonnismo. Ci sarà poi una sentenza davanti al tribunale civile per il risarcimento dei danni. Le altre tre reclute, Davide Rosa, Umberto Kerbavak e Renzo Scu: dellaro, sono comparse come testimoni. In fondo all'aula, una cinquantina di persone tra i familiari dei militari coinvolti nella vicenda e i rappresentanti del- l'Angesol, cioè l'associazione che combatte il fenomeno con 10 slogan «Fuori dalle caserme 11 cancro del nonnismo». La «prova del piccone», secondo gli imputati, era la forma consueta di iniziazione con cui venivano accolti i nuovi scaglioni di reclute. «Era usato da vent'anni a questo scopo», ha detto Simone Fontana. «Anche a me lo avevano fatto - ha aggiunto Michele Scarpa - ma soltanto di taglio, e tuttavia prima lo avevano scaldato con un accendino». Del rito del piccone sembra sapessero gli stessi ufficiali superiori. In particolare il tenente Vincenzo Gaudio, comandante la compagnia che appartiene al 52° battaglione fanteria «Alpi» di Attimis, da cui l'avamposto di Canebola dipende. Un'inchiesta parallela procede ora sulle presunte corresponsabilità, anche perché al processo è emerso che uno dei superiori avrebbe in tempi precedenti addirittura istigato i nonni a «far soffrire» una recluta particolare. Una delle vittime dei «giochi di Canebola», Renzo Scudellaro, ha raccontato così la sua storia: «Rientro dal turno di guardia alle 22,30 del 9 novembre, e mi convocano in camerata per la prova. In realtà le prove sono cinque: la penetrazione di qualche centimetro con il piccone, il salto del piccone a occhi bendati, che poi voleva dire una caduta a faccia in giù, il gioco del cucchiaio, una specie di duello carponi con un'altra recluta, armata anch'essa di cucchiaio, il gioco delle cento lire, da infilare in equilibrismo dentro un vaso, e la classica "schienata" d'acqua fredda». Li chiamavano giochi, e del resto se li tramandavano di anno in anno fra anziani e reclute. Un rituale tollerato, ma che la denuncia e poi la condanna del tribunale militare riportano nell'alveo del normale vivere civile. «C'è da rilevare una scarsa attenzione verso questo tipo di situazioni, somiglianti a certe forme di goliardia ma che a volte travalicano i limiti del permissibile - ha detto il pubblico ministero Antonio Sabino -, Una scarsa attenzione da par¬ te delle gerarchie militari, per un fenomeno mortificante in un ambiente che già impone durissimi sacrifici, anche a causa della convivenza forzata. Questo è un fenomeno che non dovrebbe verificarsi più sotto il servizio militare di leva». Secondo il pm la dignità finisce per essere calpestata dal nonnismo: «Mi sono reso conto purtroppo che oggi la dignità umana assume un valore relativo - dice Sabino -, ma la dignità non può essere calpestata neppure da quelli che se l'erano vista a loro volta calpestare in precedenza». Queste convinzioni hanno spinto l'accusa a chiedere pene assai più dure di quelle poi decise: due anni ciascuno per i due militari ritenuti i maggiori responsabili dell'episodio; un anno e mezzo per gli altri cinque, compreso l'imputato assolto. La parte civile, dal canto suo, aveva chiesto il risarcimento di 20 milioni. Il tribunale composto dai giudici Giuseppe Rosin e Massimo Riondato e dal capitano Franco Annecchini ha ritenuto che la situazione complessiva meritasse una maggiore indulgenza. Ma la questione non è chiusa. Un altro processo molto probabilmente sarà istruito entro quest'anno, sul conto di altri episodi avvenuti sempre a Canebola, ma con protagonisti diversi. Mario Lofio