ISRAELE E I MITI PERDUTI di Sergio Romano

ISRAELE E I MITI PERDUTI DALLA PRIMA PÀGINA ISRAELE E I MITI PERDUTI col passare del tempo, se le minacce palestinesi non creeranno ostacoli al flusso, come accaduto recentemente a Budapest. Essi vengono accolti con una commozione e una liberalità che dimostrano quale importanza il giudaismo russo abbia nella storia e nella cultura dello Stato israeliano. Ma l'arrivo degli ebrei soviet tici mette a dura prova i miti e le credenze degli ultimi quarantanni. Non è vero che essi lascino l'Unione Sovietica perché finalmente liberi di emigrare. In condizioni normali molti avrebbero preferito restare a Mosca, Leningrado, Kiev dove hanno casa, affètti, memorie. Partono perché i conflitti etnici e la rinascita del nazionalismo russo evocano il ricordo dei pogrom degli inizi del secolo. Lo Stato staliniano e brezneviano era oppressivo, ma garantiva la loro incolumità. Lo Stato gorbafl'oviano rischia di trasformarli in ciò che essi erano prima della Rivoluzione: vasi di coccio tra vasi di ferro. Non è tutto. Essi emigrano verso Israele non perché liberi finalmente di affermare il loro sionismo, ma perché il governo degli Stati Uniti non li considera più rifugiati politici e li accetta soltanto nei limiti delle quote nazionali. E la polemica internazionale sul loro insediamento nei territori occupati, infine, è in gran parte astratta e futile. Sono tecnici, artigiani, funzionari, non contadini. Se li costringesse a una scelta innaturale il governo di Gerusalemme li spingerebbe a cercare, appena possibile, una nuova patria. Mentre l'arrivo della diaspora sovietica rischia di smentire alcune vecchie certezze, la diaspora americana continua a svolgere il suo ruolo 'tràdtóidnalé. Dan V. Segre, israeliano di origine italiana, oggi professore di scienze politiche all'Università di Stanford, ritiene che il suo «zoccolo duro» comprenda due milioni e mezzo di ebrei e possa mobilitare all'occorrenza vasti settori dell'opinione ebraica degli Stati Uniti. Fra agosto e novembre, mentre i candidati al Congresso faranno campagna per la loro elezione, l'ebraismo americano farà certamente sentire il suo peso. E ancora una volta riscatterà col denaro e con l'influenza politica la sua decisione di non emigrare. Fino a quando, tuttavia, l'avanguardia militante dell'ebraismo americano riuscirà a condizionare la politica del governo di Washington? Sino a quando gli ebrei che hanno deciso di restare in America potranno influire sull'atteggiamento degli Stati Uniti verso la patria che essi stessi hanno rifiutato? Shamir è stato costretto a dimettersi negli scorsi giorni perché ha boicottato le proposte avanzate dagli americani per le trattative con i palestinesi. L'episodio conferma indirettamente che la politica israeliana suscita a Washington da qualche tempo frustrazione e malumore. Questi sentimenti sono destinati a rafforzarsi. L'influenza degli ebrei americani sulla politica degli Stati Uniti è legata alla tradizionale convinzione americana che Israele fosse il migliore alleato di Washington in una regione fortemente soggetta all'influenza sovietica. Ma sarà meno facile, dopo il declino dell'Urss, sostenere che Israele merita sempre e comunque l'appoggio degli Stati Uniti. Anche Israele è vittima degli avvenimenti dell'89. In una situazione in cui le due grandi diaspore ebraiche nel mondo si avviano a perdere in gran parte la loro funzione storica, la nazione israeliana deve definire nuovamente il suo destino, la sua missione e la ragione della sua esistenza. Deve rifare i conti con se stessa e fare finalmente i conti con i propri vicini. Sergio Romano

Persone citate: Shamir