«Ci basta il telegramma del duce»

«Ci basta il telegramma del duce» Caso Mussolini: l'Italia si accontenta dei cimeli più importanti e lascia gli altri «Ci basta il telegramma del duce» Un compromesso a Londra LONDRA DALLA REDAZIONE Si cerca una soluzione di compromesso: la restituzione allo Stato italiano del telegramma di re Vittorio Emanuele III a Mussolini contro la messa all'incanto degli altri cimeli mussoliniani che la casa d'aste Phillips avrebbe già dovuto mettere in vendita a Londra. Su questa ipotesi sembra lavorino i legali inglesi incaricati dall'ambasciata italiana di bloccare l'asta e i rappresentanti dei proprietari dei cimeli finiti per chissà quali misteriosi canali nella capitale inglese. Mentre si tenta di evitare i tempi più lunghi di un'azione giudiziaria, si è appreso che alcuni di questi cimeli, soprattutto il pezzo forte della collezione, rappresentato dall'ormai famoso telegramma del re a Mussolini per farlo andare a Roma, erano già apparsi a Londra, messi all'asta e venduti. Senza che da parte delle autorità italiane fosse fatta alcuna opposizione. Sono stati i responsabili della casa d'aste Phillips a rivelare che questo materiale era già stato «battuto» da Sotheby's. La messa all'incanto era avvenuta il 15 aprile del 1982. Il telegramma del re a Mussolini, firmato dal segretario di Sua Maestà, gen. Cittadini, nel quale il sovrano chiedeva al futuro Duce di recarsi a Roma, era stato venduto all'attuale proprietario per la somma di 4200 sterline (quasi 10 milioni di lire). Un secondo pezzo, la carta d'identità di Mussolini giovane, baffuto e non ancora afflitto dalla calvizie, era stata «battuta» per 500 sterline (poco più di un milione). Secondo i curatori della casa d'asta Phillips, nel frattempo, i pezzi storici di questo tipo si sono ampiamente rivalutati, e oggi potrebbero raggiungere facilmente almeno 20 milioni per 11 telegramma e un paio di milioni per la tessera d'identità. Ad esempio, l'anno scorso la stessa Phillips aveva ceduto per 100 milioni un fez appartenente a Mussolini. ' Il lotto che avrebbe dovuto essere messo all'asta comprendeva anche il testo di un discorso al Senato pronunciato dal Duce nel 1925, lettere e qualche foto autografa di Mussolini. Fra le missive ce n'è una indirizzata all'ambasciatore italiano in Germania, Dino Alfieri, nella quale Mussolini ammetteva di aver dato un modesto contributo nella prima guerra mondiale come soldato semplice con numero di matricola 1247. Alfieri era stato poi curatore della «mostra della rivoluzione fascista» del '32, nella quale erano confluiti molti di questi cimeli mussoliniani, poi misteriosamente scomparsi dopo le traversie del periodo bellico. Un inventario effettuato nel 1960 a cura del servizio degli archivi di Stato scoprì infatti la sparizione di numerose testimonianze dell'epoca fascista già esposte nella mostra del '32. Fra i pezzi scomparsi, appunto vi era anche il famoso telegramma del re a Mussolini. Naturalmente, i curatori della casa d'asta londinese e i legali dei proprietari negano il diritto dello Stato italiano a rivendicare questi cimeli. «Se avevano dei diritti, avrebbero dovuto farli valere nell'82, quando questi pezzi ricomparvero a Londra in pubblico». Ma una fonte dell'ambascia¬ ta italiana ha replicato che «le fotocopie dei cimeli mussoliniani sono conservate nell'archivio di Stato italiano» a riprova della loro origine. E in ogni caso, questa è la tesi italiana, l'oggetto è statoa sportato illegalmente: lo Stato italiano appunto, può sempre rivendicarne la restituzione anche se esso nel frattempo è passato di mano. Al di là della questione di principio, la relativamente ridotta valutazione materiale (non certo storica) del telegramma dovrebbe consentire di trovare con una certa facilità un compromesso per far rientrare comunque in Italia un pezzo di storia. I re Vittorio Emanuele III e Mussolini assistono a una parata