C'era un traffico d'armi dietro la strage di Kindu
C'era un traffico d'armi dietro la strage di Kindu I tredici soldati uccisi in Congo nel '61 C'era un traffico d'armi dietro la strage di Kindu VENEZIA. Il massacro dei tredici militari italiani, avvenuto a Kindu (Congo) 1' 11 novembre del 1961, non fu «un tragico equivoco» ma un'azione di rappresaglia. E' stato un italiano che agli inizi degli Anni 60 operava al soldo di Ciombè a indirizzare le indagini in questa direzione. A 30 anni di distanza il giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni ha scoperto che i due aerei C-l 19 sui quali volavano i nostri militari non trasportavano viveri e medicinali ma un arsenale: due mezzi cingolati e blindati di fabbricazione malese, cannoni senza rinculo da montare sulle jeep, mortai e armamento leggero come mitra e pistole, tutto di fabbricazione italiana. Secondo quanto avrebbe accertato il giudice da anni impegnato in indagini sui grandi traffici internazionali di armi il leader katanghese, scoperto che nei due aerei si trovavano armi e non medicinali, lo aveva considerato una dichiarazione di guerra, dando ordine di sopprimere i 13 militari italiani forse ignari di quanto avevano trasportato. L'ipotesi che il magistrato avanza nel fascicolo inviato alla commissione parlamentare sulle stragi è che quelle armi dovessero servire per un piano antiguerriglia per riportare il Congo (che da poco più di un anno aveva ottenuto l'indipendenza dal Belgio) alla «normalità». L'ex colonia si trovava nel più completo caos: da una parte la secessione della ricchissima regione del Katanga attorno alla quale ruotavano nientissimi interessi finanziari internazionali; dall'altra le tre fazioni in lotta per il controllo del Paese: quella del presidente Kasavubu, il gruppo lumumbista di Gi Zenga e infine la fazione katanghese di Ciombè. [Agi]
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