«Da carabinieri 007 a rapinatori»

«Da carabinieri 007 a rapinatori» Trieste, a giudizio tre poliziotti e 14 militari: spaccio di droga e assalti in banca «Da carabinieri 007 a rapinatori» Infiltrati nella malavita hanno creato una banda TRIESTE. Si erano infiltrati nella malavita per smascherare spacciatori di droga e rapinatori. Ma i carabinieri da 007 si sono trasformati anche loro in banditi. E hanno fondato un'organizzazione, composta da oltre cinquanta malviventi. Per mesi hanno terrorizzato due regioni, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Assalti a furgoni portavalori, banche, uffici postali. Ma sono stati traditi da una leggerezza: una rapina in banca a volto scoperto. Una gang così organizzata, composta da insospettabili uomini della forza pubblica, non si era mai vista. Quattordici carabinieri, tre agenti di polizia, oltre a banditi e spacciatori di droga: in tutto 54'imputati. Un capitano dell'Arma sott'accusa, un tenente colonnello inquisito e poi prosciolto, spaccio di droga e perfino rapine per diversi miliardi tra le «attività» della banda. Il giudice istruttore di Trieste, Guido Patriarchi, li ha rinviati a giudizio, dopo una lunga inchiesta, condotta dal sostituto procuratore Roberto Staffa, che ha richiesto due anni di lavoro. La banda aveva messo a segno i suoi colpi fra il Veneto orientale e la Venezia Giulia: assalti a due furgoni di trasporto valori, a due uffici postali e a una banca; commercio di stupefacenti utilizzando una schiera di piccoli spacciatori. Un'associazione per delinquere di tutto punto, della quale adesso sono accusati gran parte degli imputati. Una banda messa in piedi - secondo l'accusa dal brigadiere Edoardo Ceresi, 27 anni, di Cinto Caomaggiore, provincia di Venezia. Ma che si può dire fosse il risultato di un meccanismo tollerato dai superiori. Secondo i giudici, infatti, l'idea era scaturita da un preciso stile di lavoro, architettato nel nucleo operativo dei carabinieri di Mestre, dove molti dei militari inquisiti prestavano servizio quando tutto era cominciato. Quello che in gergo si chiama il «modus operandi». Ed è per questo che il rinvio a giudizio riguarda anche l'allora comandante del nucleo antidroga Giorgio Scimonelli, che ora diri¬ ge la stazione di Ottana, in provincia di Nuoro. Si era indagato anche sul suo diretto superiore, Tito Baldo Honorati, oggi comandante del gruppo carabinieri di Monza, alla fine risultato estraneo alla vicenda. Tuttavia la storia è assai spinosa per l'Arma. Sarebbe cominciata come un sistema un po' disinvolto per infiltrarsi nelle bande che scorrazzano a cavallo fra le due regioni e consentire le cosiddette «brillanti operazioni» che costellano un'annata di attività anticrimine. Ma la storia era ben presto degenerata: qualcuno dei carabinieri ci aveva preso gusto, qualcuno era diventato addirittura tossicodipendente. E si era passati dall'infiltrazione, che già si trova ai limiti del codice penale, al reato, senza più alcuna possibilità di controllo dall'alto. Il capitano Scimonelli è perciò accusato di spaccio e di peculato, per aver consentito ai propri uomini di procurarsi dosi da rivendere, fra la droga sequestrata i" precedenti operazioni. Il sottiuficiale considerato il cervello della banda e gli altri 52 imputati si vedono accusati di spaccio, molti anche di rapina a mano armata. Cinque i colpi su cui si è indagato, soltanto due quelli sui quali i giudici hanno certezze. La «prova generale», insomma il «salto di qualità» per così dire, avviene il 13 aprile 1987, sulla circonvallazione di San Dona di Piave. Una Golf ferma un furgone della ditta Futura, incaricata di trasportare valori per conto dell'ufficio postale: i banditi fuggono con 75 milioni in valori bollati e 355 in assegni. Alla guida del furgone c'è Fabrizio Scopece, 23 anni, di Marcon, che è d'accordo coi banditi e farà poi scoprire - con le sue rivelazioni - l'intera banda. Altro colpo il 22 ottobre: questa volta l'obiettivo è l'ufficio postale di Ceggia, sempre in provincia di Venezia. I quattro banditi fuggono su un'Alfetta targata Trieste con un bottino di undici milioni. Venti giorni più tardi, stesso colpo a San Dona di Piave, a un altro ufficio postale, dove sono appena arrivate le pensioni per i pagamenti di sportello del giorno dopo: sono informazioni che i carabinieri debbono conoscere bene. Il bottino è di tre miliardi in assegni e 215 milioni in contanti. Altri 200 milioni vengono razziati tre giorni dopo da un altro furgone della ditta Futura. Ma il meccanismo si inceppa con l'assalto a una filiale della Banca Cattolica di Vicenza, dove la banda guidata dal brigadiere Ceresi fa irruzione a volto scoperto. Pistole spianate, quindici impiegati e dieci clienti fatti stendere a terra, 100 milioni di bottino: ma una telecamera riprende tutto. Poi arrivano anche le confessioni. Mario Lollo

Persone citate: Ceresi, Edoardo Ceresi, Giorgio Scimonelli, Mario Lollo, Roberto Staffa, Tito Baldo Honorati