Omicidio Ligato, il buio continua di Francesco La Licata

Omicidio Ligato, il buio continua Dopo sette mesi d'indagini l'assassinio dell'ex presidente Fs è senza movente Omicidio Ligato, il buio continua Due piste: una romana, l'altra calabrese Mancini denuncia: «Troppi i silenzi» REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO INVIATO Era l'inizio del mese di marzo, giorno 6 o 7, quando i carabinieri varcarono la soglia di un'elegante gioielleria di via Condotti, a Roma. Sul momento il proprietario del negozio non capì bene, credeva si trattasse di un controllo di routine. Fu sorpreso, ma cominciò a comprendere, quando il sottufficiale, muovendosi in modo tanto discreto da non impensierire i clienti, gli comunicò che veniva dalla Calabria e che doveva fare un accertamento in relazione al «caso Ligato». Non ebbero fortuna i carabinieri; non trovarono ciò che cercavano: una cassaforte che potesse essere aperta da quelle «maledette chiavi» lasciate in giro dall'ex presidente delle Ferrovie, prima che due killer lo uccidessero nella sua villa di Bocale, sulla costa di Reggio Calabria. Da un anno si cerca la «serratura giusta» per quelle chiavi, nel fondato sospetto che trovarla sarebbe come possedere il decodificatore del grande «affaire» Ligato. Perché il sospetto per il gioielliere romano? Era un grande amico della vittima, ma poi, come la maggior parte di essi, si era dissolto sull'eco di quei colpi di pistola esplosi la notte del 26 agosto. No, le tre cassaforti del suo negozio non custodivano il movente dell'omicidio di Bocale. Così anche questa volta, come sempre accade dall'esordio dell'inchiesta, altre carte, altri verbali, si accatastano a quelli giacenti. Le «piste» si moltiplicano, i sospetti si ingigantiscono, con il solo risultato che il movente dell'omicidio di Lodovico Ligato va sbiadendo sempre più, appunto come carte in- giallite. La morte del politico e affarista calabrese rimane avvolta nei fumi di uno stagno che pochi hanno voglia di agitare. E chi, invece, cerca di smuovere le acque lo fa dal versante politico, «sospetto» perché non sempre disinteressato. A «chiedere giustizia», infatti, insieme coi familiari, sono alcuni ex amici di Ligato. E le indagini? Non sembra facciano grandi passi in avanti. L'inchiesta ondeggia, qualche volta sbanda, fra due direzioni opposte. Una è quella cosiddetta «romana», prediletta dagli ex amici della vittima, che ipotizza l'eliminazione di Ligato voluta da ima congiura ad alto livello ordita per difendere interessi legati ai «grandi affari». L'altra descrive il delitto come una «logica conseguenza» del ruolo che Ligato aveva avuto nella storia recente di Reggio Calabria. Una sorta di mediatore interessato nella lotta politico-affaristica che a Reggio si conduce da tempo e senza l'estraneità delle cosche mafiose. Il risultato? Una certa «dispersione» degli sforzi investigativi, costretti a saltare da storie «minime» ad intrecci internazionali come quelli dell'assicuratore romano Vincenzo Cafari, amico e confidente di Ligato, nell'ufficio del quale sono stati trovati documenti di ogni genere. Ma il risultato è anche un continuo alternarsi alla guida delle indagini: il giudice Macrì ha lasciato da quando, in conseguenza della riforma, sono stati soppressi gli uffici istruzione; ed è cambiato anche il capo della squadra mobile di Reggio Calabria. Qui sono in pochi a nutrire speranze sul buon esito dell'inchiesta: nella migliore delle ipotesi si riesce a dipingere gli scenari che fanno da sfondo al delitto, si scoprono centinaia di «reati paralleli» all'omicidio, ma quei colpi di pistola, furono 34, rimangono senza una spiegazione che possa reggere in un tribunale. Anche la cosiddetta «pista locale» soffoca sotto il peso di mille indizi: le società che Ligato aveva costituito (molte intestate al figlio, altre a prestanomi ed amici), nell'immediatezza del suo ritorno agli affari di Reggio, dopo lo scandalo nel quale era rimasto coinvolto. E poi: i suoi legami coi «signori degli appalti», il proposito di formare liste elettorali alternative per entrare nella «grande spartizione». E' stata sempre negata, per esempio, una sua diretta partecipazione alla Cambogi, una società che ha operato molto in Calabria e che adesso sembra avere qualche difficoltà. Eppure una «soffiata» agli investigatori dava per certa una «buona frequen¬ tazione» tra Ligato e i vertici della Cambogi. Tanto che spesso l'ex presidente delle Ferrovie si muoveva con l'aereo privato della società. E che dire della vendita di un appartamento a Reggio Calabria ritenuta sospetta? Il dubbio è che in effetti quei 400 milioni, il prezzo pattuito con un ex assessore comunale, fosse la copertura al pagamento di una tangente. E che dire, ancora, delle mille indiscrezioni offerte a polizia e carabinieri? La «guerra» di Ligato agli appalti (250 miliardi) concessi alla «Bonifica Spa»; l'attenzione con cui l'ex presidente delle Ferrovie seguiva le vicende del Consiglio Superiore della Magistratura, specialmente quelle legate ai giudici calabresi, sui quali teneva veri e propri dossier; i sospetti che lo dipingevano come il «capo» di un partito trasversale teso esclusivamente ad accaparrarsi i grandi affari della Calabria. Ma è ancora poco, tutto ciò, se raffrontato all'altro grande scenario che si sta aprendo: un intreccio di progetti, non tutti chiari e definiti, con personaggi della Campania, alcuni indicati come prestanomi o portatori di interessi politici ben consolidati a Roma. Di questo, però, le indagini non sembrano occuparsi. Almeno così sostengono gli amici di Ligato, che non sono soltanto democristiani. L'onorevole Giacomo Mancini, per esempio, con la sua solita carica provocatoria, manifesta sull'«affaire» più di una perplessità. «Silenzio di tomba - dice sugli assassini di Lodovico Ligato. Il caso è chiuso. E' archiviato. Si è scavato nella sua vita, ma non si sono fatte indagini sugli assassini. Il caso va riaperto. Si deve trovare il bandolo della matassa insanguinata». Francesco La Licata Il cadavere di Lodovico Ligato davanti alla sua villa. L'ex presidente delle Fs fu ucciso il 26 agosto '89