«Serve una legge per l'omeopatia» di Daniela Daniele

«Serve una legge per l'omeopatia» Richiesta di duemila medici riuniti a Roma «Serve una legge per l'omeopatia» ROMA DAL NOSTRO INVIATO Erano i carbonari della medicina, ma da qualche anno sono usciti allo scoperto e, forti dei consensi che stuoli di pazienti sempre più numerosi tributano loro, difendono la propria disciplina. I medici omeopatici ora chiedono a gran voce una legge. Ma quale? Una che regoli il settore, che eviti speculazioni e mantenga vivo lo spirito dell'omeopatia: l'attenzione puntata sul malato e non soltanto sulla malattia. E' stato questo il tema di un incontro tra medici, pazienti e parlamentari (Aglietta, Gramaglia, Tamino, Spadaccia) che si è tenuto sabato nella capitale, al Centro italiano congressi. Due organizzazioni, in Italia, sono attivissime: il Medom (Medicina Omeopatica) di Roma e l'Irrnso (Istituto per la ricerca medico scientifica omeopatica) di Napoli. Spiega il dottor Pietro Federico, presidente della seconda: «Abbiamo creato un servizio di assistenza festiva e domenicale, un corso di specializzazione per medici e studenti e lezioni per i farmacisti. Inoltre pubblichiamo una rivista, Ada Medica Omeopatica, che fornisce ai colleghi un aggiornamento continuo». Quanti sono, in Italia, i medici omeopatici? «Circa duemila. E si calcola che quasi 4 milioni scelgano queste terapie». Ricordiamone U principio. Il termine omeopatia è composto da due parole greche, omos e pathos. Creare similitudine nella sofferenza: la malattia si può curare somministrando, a dosi infinitesimali, un rimedio che sarebbe in grado, a quantità maggiori, di produrre nelle persone sane i sintomi patologici. Ancora una volta, come in altre discipline, dallo yoga alla medicina psicosomatica, si tenta di ricomporre l'uomo nella sua unità, senza creare brusche interferenze. Ma che cosa spinge un medico a saltare al di là del muro, a mettersi contro la scienza ufficiale? Risponde il dottor Antonio Manzi, trentottenne vicepresidente del centro Hahnemann (tedesco vissuto alla fine del '700, padre dell'omeopatia) di Napoli: «Quando i miei colleglli ed io imboccammo questa strada, quindici anni fa, si trattò davvero di una scelta sofferta: studiavamo all'università e, intanto, cercavamo risposte nell'omeopatia. Oggi moltissimi giovani vi si accostano, ma alcuni lo fanno soprattutto per trovare uno sbocco professionale». In Europa i Paesi cosiddetti forti (Francia, Germania, Regno Unito) hanno leggi al riguardo. Piccola curiosità: i reali d'Inghilterra ricorrono con regolarità a queste cure. «In Italia, tanto per cambiare, siamo in ritardo.— osserva Manzi —. Così stiamo organizzando una Federazione dei medici omeopatici. Desideriamo essere noi a preparare le nuove leve, perché non riteniamo giusto quanto accade adesso: molti corsi di aggiornamento sono organizzati dalle case farmaceutiche». Del resto già da tempo le industrie hanno fiutato il business, anche se continuano a preferire prodotti tradizionali che costano molto di più dei preparati omeopatici. Quale contributo dai deputati presenti al meeting? Gramaglia (sinistra indipendente): «Facciamo un gran parlare di inquinamento, ma perché non ci preoccupiamo dell'inquinamento che ci produciamo dentro, con i farmaci?»; Aglietta (partito radicale): «L'omeopatia è un modo per sottolineare la propria unicità e svincolarsi da un certo controllo della medicina tradizionale. Omeopatia è libertà di scegliere»; Tamino (verdi arcobaleno): «Basta con la visione meccanicistica della malattia. Il paziente rifiuta di essere soltanto un oggetto passivo»; Spadaccia (radicale): «Bisogna rovesciare i termini del dibattito: non più i farmaci omeopatici contro quelli tradizionali, ma un aperto confronto tra la medicina a tutti nota e l'omeopatia». Che trattamento riservano i medici ai colleghi che non corrono sui binari? Manzi sorride e confessa: «In pubblico ci attaccano, in privato si affidano alle nostre cure». Daniela Daniele