«Sul palcoscenico,con dolore»

«Sul palcoscenico, con dolore» Incontro col grande regista tedesco Peter Stein, che firma il «Tito Andronico» «Sul palcoscenico, con dolore» «Uno spettacolo riuscito stimola le idee» MILANO. «Uno spettacolo teatrale deve sviluppare idee e sentimenti. Non intrattenere» dice Peter Stein, regista di «Tito Andronico». «Il mio lavoro è stato decifrare le metafore sceniche, scegliere fra i troppi eleménti di questo Shakespeare non ancora trentenne, principalmente desideroso di effetti, che rendono ripetitivo il testo, ma senza creare noia». Peter Stein, il cinquantaduenne regista tedesco, è a Milano per il «rito Andronico» del Lirico di Milano. Uno spettacolo prodotto dal Centro Teatro Ateneo di Roma «La Sapienza» e il teatro di Genova. Le ultime tappe della tournée saranno a Genova e a Torino. «Poi approderemo al Festival internazionale di Madrid. Sarò in buona compagnia con registi del calibro di Brook, Bergman, Wajda». L'ex protagonista dell'avanguardia tedesca degli Anni 60 (adesso regista della Shaubuhne di Berlino Ovest) ha un viso ridente, capelli ricciuti da monello napoletano e occhi vivacissimi. Dice: «E' stata una tournée felice malgrado la faticaccia degli attori». E Eros Pagni, Raf Vallone, Maddalena Crippa, Paolo Graziosi, annuiscono. Continua: «Io mi sono trovato sconcertato per i doppi, spettacoli che esistono in Italia e non in Germania. Non volevo accettare questa necessità economica specie per un lavoro di questa lunghezza (più di 3 ore). Mai avrei pensato che la recita potesse essere così efficace, di una intensità eccezionale». E Maddalena Crippa (la fascinosa regina dei Goti): «Ma alla prima recita ci dobbiamo frenare e non è mai come la seconda. Non si può dare lo stesso prodotto in quasi 8 ore specie se il lavoro è di così alta fattura». E' straordinario che Peter Stein abbia accettato questa regia. Non ama allontanarsi da Berlino, anzi ci tiene a precisare che il suo teatro non si muove per torunée nazionali. «Al massimo giriamo all'estero. I tedeschi che ci vogliono vedere devono venire a Berlino che del resto è una città stupenda. Noi poi amiamo lavorare con gli stessi attori per anni. Mentre io dirigo uno spettacolo, sto già pensando al prossimo naturalmente con lo stesso gruppo di attori. E' insopportabile che una fusione costruita con fatica abbia un respiro tanto corto. Comunque so che è la stessa politica che auspica il mio amico Ivo Chiesa». E anche gli attori, ma la realtà qui è diversa. «Noi attori italiani siamo semplici scritturati», dice Maddalena Crippa che vedremo nell'ultimo film di Renato Pozzetto, «non abbiamo alcun potere. Anche la programmazione non è fatta da noi, ma la decidono gli altri sulla nostra pelle». Ma quale motivazione ha spinto l'artista tedesco ad accettare la regia di un lavoro di Shakespeare, da lui una volta definito «brutto», in Italia, con tutti attori italiani? «Prima di tutto l'amore per il vostro Paese in cui vengo da qundo ero ragazzo. Poi volevo affrontare un testo elisabettiano, questo drammone a tinte forti che ha una buona dose di retorica. Volevo ap¬ punto cimentarmi con la retorica scenica che in Germania è quasi sparita, con la brutalità che deve scioccare il pubblico. Volevo riabilitare questo testo in cui ci sono già tutti gli elementi tragici di Shakespeare. E che fra tanti effetti triviali e crudeli contiene anche della poesia, la scena della "mosca"». Per gli attori è stata una dura fatica per la brutalità e gli effettacci di certe scene. In una scena i cadaveri devono cadere in un buco e dare l'impressione che sia alto 30 metri. In un'altra un prigioniero viene appeso a una corda e torturato mentre continua a parlare: «Gli attori italiani in certe cose sono più disponibili dei tedeschi. Ma il pericolo c'è sempre sul palcoscenico, la base del nostro mestiere e il rito che comprende gesti che possono provocare dolore». Conclude: «La funzione di uno spettacolo riuscito è sviluppare idee e sentimenti, non intrattenimento. Oggi a questo ci pensano altre forme artistiche» Adele Callotti