Voglia di brivido a Capo Horn conto aperto con il mare

Quando la vita è un'avventura Gli equipaggi del giro del mondo in barca a vela e l'esploratore che cerca le fonti dell'Ama2onas Quando la vita è un'avventura Impressioni e racconti dei protagonisti PUNTA DEL ESTE. «Il Giro del mondo a vela? E' diventata una regata intorno ad una boa, dove conta il risultato, la tattica, la tecnologia e anche la fortuna. C'è poco spazio per i romanticismi ma è un'esperienza formidabile». Pierre Fehlmann, lo scontroso skipper svizzero vincitore in tempo reale della Whitbread '85, che quest'anno corre su Merit, «concede» una breve intervista seduto sulla pesante randa arrotolata sulla banchina. Parla e tiene d'occhio i suoi ragazzi che stanno preparando il maxiyacht per un'uscita tecnica. Sono passate poche ore dall'arrivo di tappa, ma è già ora di mettersi al lavoro in vista della prossima partenza. A terra, si accumulano vele, sacchi a pelo, indumenti stesi al sole, dopo i lunghi giorni di umidità e freddo. Il lavoro ferve, si curano le ferite inferte da colpi d'onda o da rotture sotto sforzo. Sono stati aperti i container trasformati in magazzini e officine. Ciascuna barca ha il suo: dentro c'è di tutto, anche motociclette per facilitare gli spostamenti. Dalla passeggiata che sovrasta la banchina la gente osserva il via vai dei velisti. L'itinerario dei villeggianti che trascorrono le vacanze in questo centro sudamericano del lusso e del divertimento da qualche giorno è fisso: passeggiata nell'avenida Corderò, sosta allo Yacht Club, dove un video Telcom fa vedere i tracciati delle rotte percorse, e infine il lungo molo di pietra incorniciato dai brillanti velieri. Gli yacht erano partiti all'inizio di febbraio dalla Nuova Zelanda per la cavalcata nel Pacifico e in Atlantico. Ogni tappa riserva curiosità e sorprese agli equipaggi. Ad Auckland si faceva a gara nel lanciarsi da una gru con un elastico legato a una caviglia. Appesi a testa in giù, i marinai misuravano il coraggio in attesa di scontrarsi con l'oceano. Qui a Punta, appena sbarcati, hanno cercato le discoteche aperte fino alle 8 di mattina e, soprattutto gli italiani, l'impareggiabile carne alla brace. A tavola si brinda al sorprendente exploit italiano, Gatorade ha fatto una bella rimonta. E si parla anche dei duelli fra protagonisti che, spesso navigando a vista, hanno lottato per rosicchiarsi briciole di miglia preziose: sono i neozelandesi, Steinlager e Fisher & Pykel; Merit, Rothmans e C. Jourdan. Il campione indiscusso, Peter Blake (Steinlager), commenta la sua vittoria: «Quando una tappa di oltre 6500 miglia finisce con venti minuti di distacco fra due barche significa che hai dato tutto quello che potevi dare ma anche un po' di più per guadagnare quel minimo vantaggio che permette di arrivare prima». La rotta giusta, scelta tempestivamente, dà ottime possibilità di vittoria e in ogni equipaggio il ruolo del tattico si è andato qualificando. Chino sulle carte, studia dati meteorologici, con¬ fronta percorsi, calcola gli spostamenti del vento per andare a catturarlo. E il vento in questa tappa ha fatto le bizze. Tutti sono andati a cercarlo sulle rotte polari e invece, come dice Fehlmann, abbiamo trovato un «vento da signorine, tanto freddo e qualche iceberg che dà colore all'ambiente». In questo caso, chi ha scelto di spostarsi a Nord, come Gatorade, ha avuto ragione. La cronaca dell'evento sportivo viene commentata e discussa cento volte, ricostruita anche per coloro che non erano nell'oceano. E' questo l'aspetto singolare e accattivante della vela. Le rotte sono controllate via satellite ma nessuno vede cosa succede sul campo, come succede per altri sport. Su alcuni velieri ci sono telecamere e le tivù piombano puntuali a riprendere arrivi e partenze; una troupe di Italia 1 (unica al mondo) è riuscita persino ad arrivare a Capo Horn in barca a vela. Qui ha catturato i passaggi delle vele, il brindisi gioioso dei ragazzi di Gatorade e l'immagine, storica e demistificante dello scoglio che ha fatto piangere migliaia di navigatori e che quest'anno, invece, per pochi giorni, ha riservato ai regatanti giornate tranquille. Nessun obiettivo però ha potuto focalizzare e rivelare le emozioni di chi sente la barca vibrare mentre plana sulla groppa di un'onda, la frenesia nervosa della velocità (il record è di circa 400 miglia percorse in 24 ore), la tensione della bonaccia, la magia di quattro delfini affacciati da un'onda di poppa alta dieci metri o il commovente rito dell'equipaggio di Steinlager che, a Capo Horn, ha sparso le ceneri di un navigatore. Di quelle sensazioni ci sono i racconti. E il più emozionante riguarda il salvataggio dei marinai di Martela. La barca finlandese aveva perso la chiglia, cioè la pinna inferiore che permette allo scafo di stare in tquilibrio. «Dopo cinque secondi — ha raccontato lo skipper nordico Marku Wiikkeri — la barca si è capovolta. L'addetto radio, stava dando il May Day, quando si è visto travolgere dalle vele. Ce l'ha fatta per puro caso». Nessun ferito, nessun dramma. Soltanto l'attesa dei soccorritori. Merit, C. Jourdan e Ubf, a circa 40 miglia da Martela, non hanno esitato ad andare ad aiutare i naufraghi. La superficialità di chi ha installato e costruito la chiglia (pare che non abbiano seguito le indicazioni del progettista German Frers), l'inspiegabile decisione dello skipper che, invece di avviare il motore e cercare riparo, ha proseguito la sua corsa, sono un grave monito. I mihardi spesi per costruire e sponsorizzare i velieri da corsa, le tecnologie sofisticate, suggerite addirittura dalle esperienze spaziali, non garantiscono la sicurezza. «Conosciamo i rischi», dice seccamente Fehlmann (Merit), ma fa rabbrividire il racconto di Alain Gabbay (C. Jourdan) che dice di aver visto decine di albatros volare intorno a Martela capovolta, come condor pazienti in attesa di vittime, o le ipotesi di Ludde Ingvall (Ubf): «Se fosse capitato nei mari polari, se non avessimo avuto informazioni sulla posizione dei finlandesi, forse non saremmo arrivati in tempo a salvarli». Viene in mente l'inglese morto per assideramento nella tormentata tappa dell'Oceano Indiano ma i marmai preferiscono non parlarne. Quasi tutti, dopo lo stupore di aver messo piede a terra, hanno voglia di ripartire; ciascuno ha un conto aperto, chi sulla classifica, chi direttamente con il mare e sembra un debito inesauribile. Irene Cablati Voglia di brivido a Capo Horn conto aperto con il mare Spinnaker, vento leggero mare tranquillo, primaverile: il passaggio al «mitico» Capo Horn è stato molto felice in questa edizione della «Whitbread»

Luoghi citati: Este, Italia, Nuova Zelanda