Quando la vita è un'avventura

Gli equipaggi del giro del mondo in barca a vela e l'esploratore che cerca le Gli equipaggi del giro del mondo in barca a vela e l'esploratore che cerca le Quando la vita è un'avventura Impressioni e racconti dei protagonisti fonti dell'Ama2onas Spinnaker, vento leggero mare tranquillo, primaverile: il passaggio al «mitico» Capo Horn è stato molto felice in questa edizione della «Whitbread» ore), la tensione della bonaccia, la magia di quattro delfini affacciati da un'onda di poppa alta dieci metri o il commovente rito dell'equipaggio di Steinlager che, a Capo Horn, ha sparso le ceneri di un navigatore. Di quelle sensazioni ci sono i racconti. E il più emozionante riguarda il salvataggio dei marinai di Martela. La barca finlandese aveva perso la chiglia, cioè la pinna inferiore che permette allo scafo di stare in tquilibrio. «Dopo cinque secondi — ha raccontato lo skipper nordico Marku Wiikkeri — la barca si è capovolta. L'addetto radio, stava dando il May Day, quando si è visto travolgere dalle vele. Ce l'ha fatta per puro caso». Nessun ferito, nessun dramma. Soltanto l'attesa dei soccorritori. Merit, C. Jourdan e Ubf, a circa 40 miglia da Martela, non hanno esitato ad andare ad aiutare i naufraghi. La superficialità di chi ha installato e costruito la chiglia (pare che non abbiano seguito le indicazioni del progettista German Frers), l'inspiegabile decisione dello skipper che, invece di avviare il motore e cercare riparo, ha proseguito la sua corsa, sono un grave monito. I mihardi spesi per costruire e sponsorizzare i velieri da corsa, le tecnologie sofisticate, suggerite addirittura dalle esperienze spaziali, non garantiscono la sicurezza. «Conosciamo i rischi», dice seccamente Fehlmann (Merit), ma fa rabbrividire il racconto di Alain Gabbay (C. Jourdan) che dice di aver visto decine di albatros volare intorno a Martela capovolta, come condor pazienti in attesa di vittime, o le ipotesi di Ludde Ingvall (Ubf): «Se fosse capitato nei mari polari, se non avessimo avuto informazioni sulla posizione dei finlandesi, forse non saremmo arrivati in tempo a salvarli». Viene in mente l'inglese morto per assideramento nella tormentata tappa dell'Oceano Indiano ma i marmai preferiscono non parlarne. Quasi tutti, dopo lo stupore di aver messo piede a terra, hanno voglia di ripartire; ciascuno ha un conto aperto, chi sulla classifica, chi direttamente con il mare e sembra un debito inesauribile. Irene Cablati Walter Bonatti, famoso alpinista ed esploratore, si prepara per andare alla ricerca delle vere fonti del Rio delle Amazzoni sponsorizzazioni. Con questo non voglio affatto dire di essere contrario agli sponsor ma essi debbono «permettere» lo svolgersi di un'avventura, non «indirizzarla». C'è poi una responsabilità ben precisa e ben alta da parte dei finanziatori: il loro operare non deve mai, in nessun caso indurre gente non perfettamente preparata a mettere la vita a repentaglio. A proposito. Lei è venuto fuori da situazioni così critiche da dare l'impressione di avere quasi un rapporto privilegiato con la natura. Con «tutti gli elementi ostili», come si suol dire, riusciva forse a captare qualcosa di non completamente avverso con qualche sua particolare sensibilità? Non è vero affatto. Il segreto sta nella meticolosa preparazione. Piuttosto ho cercato di sfruttare le debolezze della Natura, debolezze intese come condizioni migliori. So sfruttare i momenti di sua «non belligeranza». La cosiddetta «impresa folle», poi, è tale per il profano. Essa è invece condotta tecnicamente e razionalmente fino alle soglie dell'imponderabile. In circostanze di imponderabilità assoluta, pazzesca, quali si verificarono al Pilone Centrale (nel luglio del 1961 vi morirono Andrea Oggioni, Robert Guillaume, Antoine Vieille e Pierre Kohlman dopo giorni di bufera, n.d.r.) mi ha salvato il rifiuto della morte. Non c'è maggior certezza di morire che nella rassegnazione. Paolo Bruitati