Bush frena la corsa a Est

Bush frena la corsa a Est Bush frena la corsa a Est Washington attiva solo a Budapest WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La pittoresca metafora è di Mark Palmer, l'ex ambasciatore americano a Budapest: «La nuova corsa all'oro». Palmer si riferisce alla competizione tra la Cee, gli Usa e il Giappone per la conquista dei mercati dell'Europa dell'Est e dell'Urss. L'ex ambasciatore sa bene di che cosa parla: ha appena abbandonato la diplomazia per fondare un consorzio di aziende americane negli ex Paesi comunisti. Ma non è ottimista: «L'Est europeo - dichiara - è come un antico giacimento aurifero. Purtroppo nella corsa gli Usa rischiano di finire ultimi». «Gli Usa - aggiunge - sono schizofrenici, soprattutto a livello di governo. Le remore politiche e militari di Washington sono tali da ostacolare commerci e joint ventures». La presenza americana, per ora, è massiccia solo in Ungheria, dove sono entrati colossi come la General Motors, la General Electric, la Levi Strauss, la McDonald, la Digital Computers persino l'editore Murdoch. Per colmare il ritardo nei confronti della Cee, presente in tutte le aree, l'industria statunitense ha organizzato un simposio a Washington, in parallelo con uno a Mosca, cui hanno partecipato tra gli altri l'ex segretario di Stato Kissinger, il ministro della Difesa Cheney e il portavoce di Gorbaciov, Gerassimov. Il presidente della Fiat Usa, Vittorio Vellano, ha ricordato agli americani che «le aziende possono svolgere una funzione guida nella riforma' dell'economia e nell'offerta di beni, servizi e know how sui nuovi mercati». L'Europa dell'Est - ha proseguito Vellano - ha 140 milioni di abitanti, senza contare l'Urss, e trova nelle Cee un for¬ te polo di attrazione, anche sociale e culturale... A sua volta la Cee intende accelerare la propria integrazione «e ritiene necessario negoziare l'ingresso statunitense sul proprio mercato a condizioni di reciprocità reale»... Lo sbocco logico di questi grandi eventi sarà un sistema commerciale internazionale basato sulle trattative tra le grandi aree europea, americana e giapponese. Concetti analoghi ha esposto Kissinger. Dalle inchieste del Wall Street Journal e dal simposio è emersa tuttavia la conferma che l'amministrazione Bush fa da freno alla penetrazione dell'industria Usa nell'Europa dell'Est e nell'Urss. Il ministro del Tesoro Brady ha minacciato il ritiro americano dalla banca proposta da Mitterand per gli ex Paesi comunisti se essa fornirà crediti eccessivi ai sovietici. Il Pentagono si è opposto alla partecipazione di un consorzio statunitense alla stesura di una rete di fibre ottiche per le telecomunicazioni sostenendo che minerebbe la sicurezza nazionale Usa. Mark Palmer non è l'unico a temere che la sconfitta nella nuova corsa all'oro segni l'inizio del declino degli Stati Uniti. Il capogruppo democratico alla Camera, Dick Gephardt, ha accusato Bush «di non veder oltre la punta del suo naso». Gephardt sostiene che il predomonio economico americano nel dopoguerra fu dovuto anche al piano Marshall, che da un lato ricostruì l'Europa occidentale ma dall'altro ne aprì i mercati al Made in Usa. «Stiamo attenti - ha detto - perché temporeggiando favoriamo la nostra emarginazione e l'ingresso dell'Est europeo nella Cee». L'unità di misura del potenziale successo degli Stati Uniti, qualora decidessero di agire, lo sta fornendo l'Ungheria. Il dieci per cento delle sue joint ventures sono con l'America; essa sta esaminando nuove proposte d'investimento da parte di 200 aziende americane; e viene usata come fonte di esportazione non solo ad Est ma anche ad Ovest. Ennio Caretta