Furto da 125 miliardi al museo di Boston
Furto da 125 miliardi al museo di Boston STATI UNITI Finti poliziotti immobilizzano le guardie: dietro al colpo, una banda internazionale Furto da 125 miliardi al museo di Boston Rubati Rembrandt, Vermeer, Degas, Manet e antichità cinesi WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' il più colossale furto d'arte della storia americana: quadri e altri oggetti di valore per almeno 100 milioni di dollari, 125 miliardi di lire, ma forse alcune volte tanto. E' stato compiuto, con uno stile degno di James Bond, dai soliti ignoti travestiti da poliziotti in uno dei più celebri musei di Boston, l'Isabella Stewart Gardner. L'Fbi si è già rivolto all'Interpol: è convinto di avere a che fare con una banda internazionale di ladri d'arte, che «vende» anche in Europa e in Giappone. «E' un tesoro inestimabile — ha detto Paul Cavanagh, preposto alle indagini —: quei capolavori possono finire solo a collezionisti che li tengano nascosti». Tre fattori rendono straordinaria l'impresa. Uno è appunto il valore dei quadri. L'altro è il modo con cui è avvenuta la ra¬ pina. Il terzo è la storia del museo, o meglio della sua fondatrice. I quadri innanzitutto. Sono noti in tutto il mondo. Tre Rembrandt: «Uomo e donna in nero», «Tempesta nel mare di Galilea», «Autoritratto». Un Vermeer, «Il concerto». Cinque Degas, tra cui «Tre fantini a cavallo» e «Corteo nei pressi di Firenze». Un Manet, e anche un vaso di bronzo cinese del 1200 avanti Cristo. «I ladri sapevano quello che volevano» ha aggiunto Cavanagh. «Forse hanno agito su ordinazione. E' roba che farebbe gola a chiunque». II furto. Due rapinatori — almeno un complice è rimasto fuori ad attenderli — si sono presentati in divisa da poliziotto al museo verso l'una della notte tra sabato e domenica, dicendo di essere stati chiamati dai vicini che avevano visto persone sospette aggirarsi nei paraggi. Le guardie notturne li hanno fatti entrare e sono state sopraffatte, legate e imbavagliate. I ladri hanno tagliato i fili del telefono e bloccato il sistema d'allarme, che è avanzatissimo. Per circa un'ora hanno operato indisturbati all'interno. Nessuno si è accorto di nulla. La mattina successiva, all'arrivo al museo, che è aperto di domenica, un funzionario ha dato l'allarme. Isabella Stewart Gardner. La fondatrice del museo era la bellissima e stravagante consorte di John Lowell Gardner, l'ultimo mercante della grande East India Company di Boston. Per tutta la vita, riferiscono le cronache, si era divertita a scandalizzare l'alta società bostoniana: beveva birra anziché tè, portava i gioielli in cima a due antenne d'oro che teneva sulla testa come un marziano, e anziché con un cane girava per la città con un leoncino al guinzaglio. Alla fine del secolo scorso, aveva ricostruito a Boston un palazzo veneziano del 1400, comprato in Italia, smontato e rimontato pietra per pietra, per ospitare la sua magnifica collezione di quadri. Il Gardner Museum fu aperto al pubblico dall'eccentrica signora nel 1903, alla morte del marito: Isabella Stewart, che conservò per sé l'ultimo piano dell'edificio, si spense nel 1924, all'età di 85 anni. Il suo lascito fu ferreo: nessuno dei 290 quadri e dei 280 altri oggetti, dalle statue ai mobili, poteva essere venduto, prestato o anche solo spostato. «Questo palazzo — decretò la signora — rimarrà congelato nel tempo». E così fu. A parte le misure elettroniche di sicurezza, che però si sono rivelate inutili, nulla è mai cambiato. «Sono ceito — ha commentato Cavanagh — che i ladri l'hanno visitato spesso, imparando a conoscerlo a palmo a palmo». [e. ci
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