Clegg, la macchina del ritmo di Gabriele Ferraris
Clegg, la macchina del ritmo Grande successo al Palasport per il rocker sudafricano anti-apartheid Clegg, la macchina del ritmo Duemila persone travolte dalla musica zulù TORINO. Che dire? E' Johnny Clegg. Non vogliamo ancora una volta parlare del rocker sudafricano anti-apartheid, delle sue prese di posizione contro il razzismo, della sua onesta battaglia per il trionfo dell'ovvio ideale di «one man, one vote», un uomo un voto, titolo di una sua canzone e principio democratico tanto evidente quanto disatteso dalle parti di Pretoria. L'aspetto «politico» del personaggio Johnny Clegg rischia troppo spesso di mettere in secondo piano quello musicale. Ma dopo il concerto torinese di Clegg, ultimo della breve tournée italiana, è proprio la musica a imporsi prepotentemente all'attenzione. Badate bene, non tutto è filato Uscio. Rispetto ai primi due dischi «occidentali» («Third World Child» e «Shadow Man»), il recente «Cruel, Crazy, Beautiful World» appare a tratti meno entusiasmante, più intrigato con gli in¬ teressi del business musicale. E anche dal vivo sono le canzoni nuove a suscitare qualche perplessità. Però sono sciocchezzuole, se confrontate a certi prodotti di consumo che vengono spacciati per capolavori sui palcoscenici rock di tutto il mondo. Nonostante alcune cadute di tensione, e ad onta di minime banalità, il concerto di Johnny Clegg rimane una potente macchina di ritmo e divertimento: il rocker sudafricano si conferma performer eccezionale, inesausto predicatore, mago della fusione fra tradizioni diverse. I duemila spettatori del Palasport (soltanto duemila: peccato, la qualità stenta ad affermarsi) l'altra sera hanno goduto di una merce rara: la musica. Musica che va dai ritmi mbaqanga degli zulù al rock, in una perfetta armonia che ogni volta colpisce per la sua genialità. II concerto dà ampio spazio alle canzoni di «Cruel, Crazy, Beautiful World», e Johnny ricorda commosso l'amico David Webster, progressista sudafricano assassinato l'anno scorso. Ricorda le lotte e i dolori di tutti i popoli del mondo per la libertà, ricorda la gioia per la liberazione di Mandela, e mentre intona «Asimbonanga» fioriscono attorno a lui, nel Palasport buio, le fiammelle degli accendini. «Per Nelson Mandela, per Steven Biko, per David Webster», canta, e i ragazzi rispondono con un applauso. Già, i ragazzi: quello di Clegg è un pubblico speciale, neri e bianchi che si abbracciano, innamorati che si baciano, padri intorno ai trent'anni abbondanti trascinati al concerto dai figli di dieci. E quando vedi quei bambini ballare felici speri che l'epoca triste della musica di plastica stia finalmente per finire. Gabriele Ferraris
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