Con il libero mercato la perestrojka trionfa anche ad Hanoi

Con il libero mercato la perestrojka trionfa anche ad Hanoi Il Vietnam sceglie le riforme Con il libero mercato la perestrojka trionfa anche ad Hanoi Il Vietnam sembra deciso ad abbandonare la posizione di «uno degli ultimi bastioni del marxismo-leninismo». Lo ha confermato in una recente intervista alla Washington Post il ministro degli Esteri Nguyen Co Thach, che è anche uno dei membri più autorevoli del Politburo del partito comunista vietnamita. Secondo Thach il movimento «è irreversibile», il Vietnam ha scelto la conversione all'economia di mercato. Parallelamente è in discussione il ruolo-guida del partito, si accentua sempre più la tendenza a distinguerlo dal potere dello Stato. Difficile per ora prevedere, anche per le condizioni del Paese, se la nuova tendenza possa aprire la via ad un assetto politico pluralistico. Per ora i dirigenti del partito comunista lo escludono, ma insistono sul fatto che la svolta vietnamita è comunque assai più decisa rispetto a quella che si manifestò all'inizio nei regimi dell'Europa Orientale e che portò alla situazione attuale in pochi mesi. I vietnamiti sottolineano che la loro posizione anche in periodo di piena ortodossia comunista era molto diversa da quella dei regimi dell'Europa Orientale: soprattutto nessun legame così stretto con l'Urss. Thach si è sforzato di mostrare l'originalità della svolta vietnamita rispetto a ciò che è avvenuto in Europa alla fine dell'89. Ma non c'è dubbio che gli avvenimenti europei e della stessa Urss di Gorbaciov abbiano avuto quantomeno una funzione di acceleratore. Non fosse altro che per la ventata di glasnost che consente ai dirigenti vietnamiti di parlare come mai accadde negli ultimi decenni delle trasformazioni che avvengono nel Paese. La prima grossa rivoluzione cominciò quando il segretario generale del partito comunista vietnamita Nguyen Van Linh annunciò che i contadini potevano avere lotti di terra in una sorta di proprietà che era trasmissibile agli eredi diretti attraverso un contratto con lo Stato. I contadini tornati così «padroni» della terra furono anche autorizzati a vendere i prodotti dei raccolti con il sistema del libero mercato. Lo stesso Linh ha dichiarato che negli ultimi anni il reddito medio dei contadini espresso in percentuale del prodotto venduto è aumentato dal 20 al 60%. Grazie alla politica dei tassi d'interesse elevati attuata parallelamente e alla difesa della moneta locale, il dong, i risparmi sono aumentati del 20%, mentre il tasso annuale d'inflazione è sceso dal vertiginoso 700% della fine Anni Settanta al 20% attuale. Ovviamente non tutto il partito è su posizioni d'apertura. Thach ha apertamente ammesso che esiste un forte gruppo di conservatori che danno battaglia contro le riforme. Ma i riformisti sono altrettanto decisi a portare avanti il loro programma ed è significativo il discorso agli studenti fatto a fine dicembre dell'89 da un membro del Politburo, Tran Xuan Bach, secondo il quale il Vietnam deve evitare l'«eccessiva sicurezza» del regime di Pechino, che non volle «ascoltare le richieste di Tien an men». Accanto alle riforme economiche si manifesta dunque anche un inizio di apertura politica. Ma il grosso problema è di vedere chi sarà in grado di gestire la svolta. Le giovani generazioni, e quella di mezzo, dopo cinquantanni di guerra e di regime dittatoriale non sembrano per ora emergere. Il Vietnam è governato da una sorta di gerontocrazia erede di Ho Chi Minh e dei suoi, cioè di quegli uomini che appresero in Francia dove vissero parte della loro gioventù le esperienze politiche che li spinsero alla guerra di liberazione. Ora questa élite è invecchiata e non è facile scorgerne un'altra. La guerra contro i francesi e quella contro gli americani hanno lasciato soltanto l'orgoglio di una guerra vinta ma il vuoto, l'isolamento di intere generazioni, oltre alla distruzione quasi totale del Paese. i Gianfranco Romanello

Persone citate: Gianfranco Romanello, Gorbaciov, Nguyen Co Thach, Nguyen Van Linh, Xuan Bach