C'è una «talpa» che tradisce Sica di Giovanni Bianconi

C'è una «talpa» che tradisce Sica Una persona su cui si indagava in segreto sapeva di avere il telefono sotto controllo C'è una «talpa» che tradisce Sica Svelate le operazioni del commissario antimafia ROMA. C'era qualcuno, tra i personaggi intercettati da Sica, che sapeva di avere il telefono sotto controllo. La fuga di notizie sull'attività dell'Alto Commissario antimafia aveva raggiunto anche chi era nel mirino degli investigatori. E' un episodio clamoroso, che rivela l'esistenza di una «talpa», del quale è già stata informata la magistratura. In una delle 502 intercettazioni disposte dall'Alto Commissario c'è la prova che la riservatezza di quegli uffici è stata violata. E che le armi di Sica, a volte, vengono spuntate all'origine. E' anche a questo episodio che probabilmente faceva riferimento il giudice Di Maggio (che ora rischia di essere inquisito per le cose dette al «Maurizio Costanzo show»), quando ha espresso il «ragionevole sospetto» che l'indebolimento dell'Alto Commissariato sia collegato alla vicenda delle intercettazioni telefoniche. Sul contenuto di quelle registrazioni continuano ad accavallarsi sospetti e voci. Le ultime riguardano l'ipotesi che fra le telefonate intercettate ci siano anche quelle tra alcuni imprenditori siciliani e uomini politici, che parlano di appalti per un valore di circa diecimila miliardi. Ma sono voci. I fatti, invece, riguardano l'esistenza di una «talpa» che svela in anticipo l'operato e le intenzioni di Sica. Accadono tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre scorso. In quel periodo all'Alto Commissario arrivano informazioni su un personaggio romano sospettato di avere a che fare con il traffico di droga e il riciclaggio di denaro sporco. Alla Procura di Roma viene fatta la richiesta di mettergli il telefono sotto controllo. Si tratta di un'«intercettazione preventiva», nel senso che a carico del sospettato non c'è an¬ cora nulla di concreto, e l'interessato non sa che gli 007 antimafia si stanno occupando di lui. La richiesta è accolta, per 15 giorni saranno incisi su nastro tutti i colloqui che avvengono su quell'utenza. L'ascolto va avanti, poco prima della scadenza dell autorizzazione Sica ne chiede la proro- f;a. Passano un paio di giorni e 'ufficiale incaricato di trascrivere i nastri porta i risultati delle prime intercettazioni. Lì c'è la prova dell'esistenza di una «talpa»: dai colloqui tra il personaggio messo sotto controllo e un suo interlocutore tuttora sconosciuto si capisce che il primo sa di essere intercettato. Dice al suo amico che ci sono indagini sul proprio conto, sa dell'esistenza di un «rapporto di quattro pagine» che lo riguarda. E guarda caso, è lunga proprio quattro pagine la motivazione con la quale Sica aveva richiesto l'intercettazione. A questo punto la concessione della proroga, per gli 007 dell'Alto Commissario, diventa ancora più importante. Ma dalla Procura dicono che bisogna stendere un'altra motivazione, la prima è sparita. Salterà fuori soltanto dopo, era andata persa. Nel frattempo però, il procuratore generale Mancuso ha iniziato un carteggio col procuratore della Repubblica, Ugo Giudiceandrea, contestando il metodo col quale vengono richieste e autorizzate le intercettazioni. Per Mancuso sono tutte illegittime. Il risultato è che da quel momento tutte le richieste di Sica hanno esito negativo. In questo modo viene bloccata anche l'indagine sul personaggio che sapeva di essere intercettato. Un'indagine che offriva molti spunti. L'uomo — si capiva dal colloquio — era collegato con uno degli imprenditori catanesi sospettati di avere rapporti con le cosche. Parlava di Rosario Spatola, accusato di essere il riciclatore della mafia, di alcuni suoi «incontri eccellenti» nell'isola caraibica di San Martin, delle attività della Banca d'Italia. E nel colloquio, «inquinato» dal fatto che l'intercettato sapeva di essere ascoltato, veniva fatto anche il nome di un «colletto bianco» di grosso calibro. Quell'intercettazione, in quanto «preventiva», non ha nessun valore. Non può essere nemmeno utilizzata dalla magistratura che l'aveva autorizzata. C'era bisogno di ulteriori indagini e approfondimenti, ma non è stato possibile farli. Sica ha anche tentato di indagare sulla «talpa», ma non è arrivato a niente. I sospetti non hanno portato da nessuna parte. Adesso però, con il «caso Di Maggio», se ne tornerà a parlare. Giovanni Bianconi ALTRO SERVIZIO A PAGINA 12

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