Bush chiude la guerra economica con Managua

Bush chiude la guerra economica con Managua «Presto cadrà anche Castro e allora vedremo un emisfero occidentale di sole democrazie, dall'Alaska all'Argentina» Bush chiude la guerra economica con Managua Revocate le sanzioni, un miliardo di dollari a Nicaragua e Panama WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La guerra degli Stati Uniti contro il Nicaragua per interposta persona — i contras c ribelli antisandinisti — è ufficialmente finita ieri, con la revoca immediata delle sanzioni economiche imposte dalla Casa Bianca a Managua cinque anni fa, e con il varo di un piano di aiuti di 300 milioni di dollari per il '90 e di 200 milioni per il '91. Ne ha dato l'annuncio il presidente Bush in persona, a una conferenza stampa in cui ha anche promesso 500 milioni di dollari al Panama e, riferendosi all'isolamento politico di Castro, ha profetizzato «un emisfero occidentale di sole democrazie, un arco di libertà dall'Alaska all'Argentina». George Bush, accusato nei giorni scorsi di immobilismo dai democratici, ha agito dopo un cruciale incontro tra il vicepresidente Usa, Quayle, e il presidente nicaraguegno Ortega a Santiago del Cile; dopo una telefonata fattagli dal presidente entrante, la signora Violeta Chamorro; e dopo alcuni giorni di sciopero della fame del presidente panamense Endara, per protesta contro il ritardo degli aiuti americani. «E' urgente assistere il Nicaragua e il Panama nella loro storica opera di riconciliazione e di ricostruzione — ha detto Bush —. Se il Congresso esitasse, potremmo usare fondi del ministro della Difesa, grazie alla riduzione del bilancio militare». Si tratta dei cosiddetti dividendi della pace, i tagli degli armamenti consentiti dal gorbaciovismo. La svolta è stata segnata dalle assicurazioni di Ortega a Quayle. Il presidente sandinista si è detto ansioso di porre fine ai combattimenti in Nicaragua, e disposto a trasferire alla signora Chamorro il comando delle forze armate e di quelle di polizia, purché gli Stati Uniti forniscano aiuti economici a Managua. «Sono meno preoccupato del trasferimento dei poteri da Ortega alla Chamorro di quanto lo fossi sino all'altro ieri» ha asserito Bush, facendo capire di essere disposto a mediare. «Penso che il Centro America si stia stabilizzando». Quanto a Ortega, ha elogiato la decisione di Bush, dicendo che «le sanzioni hanno dannegiato tutti i nicaraguegni, ed era ora che gli Siati Uniti cambiassero la loro politica». Il Congresso, che deve appro- vario entro il 5 aprile, ha accolto positivamente il progetto di assistenza al Panama e al Nicaragua. Dal Panama, Endara, che ha subito abbandonato lo sciopero della fame, ha inviato a Bush un telegramma di ringraziamento, e la signora Chamorro ha telefonato dal Nicaragua. Al Congresso rimangono però tensioni a causa dei contras. Ieri Bush ha espresso l'intenzione di continuare a finanziarli, anche se solo per viveri e medicinali, finché non smobilitino, e uno dei leaders dell'opposizione, il deputato Richard Gephart, un ex candidato alla presidenza, ha lamentato che questo fornisca «munizioni ai sandinisti per ritardarne il rimpatrio». Per gli Stati Uniti, il passo di ieri è molto importante. Da un lato, segnala la determinazione di fare dimenticare le loro interferenze in Centro America, dall'altro conferma che essi sono un punto di riferimento indispensabile per tutte le forze politiche dell'emisfero. Bush lo ha compiuto contro il parere di Reagan, con cui si era consultato i giorni scorsi: il suo predecessore sostiene ancora oggi che i contras non devono sciogliersi finché la signora Chamorro non sarà saldamente al potere. L'opinione pubblica Usa è tuttavia per il dialogo diretto tra Washington e Managua. Lo stesso Quayle, il superfalco dell'amministrazione, sembra essersene convinto. In stridente contrasto col riavvicinamento tra Bush e Ortega è stata una mossa inattesa di Castro, che a Cuba ha fatto arrestare 11 leaders dei diritti civili, accusandone 8 di spionaggio a favore degli Stati Uniti. Castro ha agito per ritorsione contro la recente condanna dell'Onu per la sua politica repressiva, dopo che squadre di picchiatori hanno aggredito i suoi principali critici e sono scoppiati tafferugli a L'Avana. Secondo il Dipartimento di Stato, Castro cerca di prevenire la formazione di un partito di opposizione. Ennio Gaietto