«Basta Polonia vogliamo il Quarto Reich» di Tito Sansa

«Basta Polonia vogliamo il Quarto Reich» Dopo 45 anni di silenzio, al di là dell'Oder-Neisse la speranza della riuniflcazione rilancia i desideri di rivalsa «Basta Polonia vogliamo il Quarto Reich» Tra i tedeschi della Slesia OPOLE DAL NOSTRO INVIATO «Se la Germania non si decide a tornare qui, andiamo noi in Germania», dicono i contadini dell'Alta Slesia — isola tedesca in Polonia — che seguono con passione la disputa tra i governi di Bonn e dì Varsavia sulla frontiera lungo la linea OderNeisse. Aspettano da quasi mezzo secolo. Il loro «sogno» è che il Reich si estenda nuovamente sulle lóro pianure, ora che le due Germanie stanno per riunificarsi e che il confine (quello vero, perché la Ddr per loro non conta) sta per tornare a meno di 300 chilometri. Negli ultimi 45 anni nell'Alta Slesia, che fu amministrata per sette secoli da governanti di lingua tedesca, si era vissuti in laboriosa tranquillità. Finita la guerra, più d'un milione di tedéschi autentici erano stati espulsi, là regione era stata polonizzata piuttosto brutalmente dal regime comunista. I nomi tedeschi erano stati cancellati dalle strade e perfino scalpellati via dalle lapidi nei cimiteri, la lingua tedesca era scomparsa, in pubblico non osava parlarla più nessuno. Di tedesco nell'Alta Slesia non era rimasto proprio nulla, salvo i-piastroni di cementò dell'autostrada ancora intatti dopo 50 anni di traffico pesante. Ora nell'Alta Slesia il tedesco torna in auge. D'improvviso centinaia di migliaia di persone «scoprono» di avere ascendenti tedeschi. Uscite dai loro gusci sotto una triplice influenza — l'onda libertaria, di Solidàrnosc, le concessioni fatte da Gorbaciovalle minoranze e, soprattutto, le rivendicazioni territoriali avanzate nella Germania Federale dalle associazioni dei profughi alle quali il cancelliere Helmut Kohlnon è rimasto sordo —, ora si fanno avanti in massa. Non solo persone di etnia tedesca, ma anche di ceppo slavo, da un po' di tempo a questa parte pretendono di essere germaniche. Cercano e trovano nonni e bisnonni tedeschi e fanno anche carte false per avere il cosiddetto PO (Permit Order) che gli fa ottenere dal governo di Bonn un passaporto della Germania Federale, sicché possono emigrare in quella che considerano una nuova America. Nessuno invece (che si sappia) chiede di trasferirsi nella Ddr, la Germania ex comunista. Basta pagare — mi raccontano — per ottenere l'ambito PO di Bonn nel questionario del quale (paragrafo 18) l'appartenenza di un nonno all'esercito o al partito nazista è considerata titolo di merito. Funzionari compiacenti si lasciano corrompere per fabbricare i certificati falsi. Sonò pure diffusi, per acquistare la cittadinanza di Bonn, i matrimoni prò forma con un partner tedesco. La Germania è tornata di moda nell'Alta Slesia soltanto ora che sta per ritornare grande. Tutti quaggiù conoscono l'articolo 116 della legge fondamentale della Germania Federale, secondo il quale vengono considerati tedeschi di diritto tutti i nati prima del 1945 entro i confini tedeschi del 1937 e anche i loro discéndenti. Questo articolo, che esclude i territori dell'Austria e dei Sudeti occupati dai nazisti dopo il '37, concede praticamente alla maggioranza degli slesiani il diritto di considerarsi tedeschi, quale che sia la loro etnia. E' bene essere tedeschi: forse, chissà, — dicono i contadini — il Reich potrebbe tornare quaggiù. Gogolin, un ricco villaggio una trentina di chilometri a Sud di Opole (Oppeln), il capoluogo del voivodato dell'Alta Slesia, è il centro della rifiorente germanità in terra polacca. Qui la gente, mostrando l'autostrada incompiuta, dice: «L'ha fatta Adolf, se fosse vissuto sarebbe terminata». Iniziatore del «risveglio germanico» è un proprietario terriero di 72 anni, Jan Krull, che insiste a chiamarsi Johann Kroll. Ex soldato nella Wehrmacht, ha perso una gamba in guerra, è diventato poi un fedelissimo e temuto dirigente del partito comunista locale, ora è l'anima del movimento dei tedeschi appoggiati dai pangermanisti di Bonn. Il vecchio non si espone, ha mandato nella mischia il figlio di 42 anni, veterinario, che ac¬ cetta il nome polacco di Henrik Krull, il quale è a capo di una associazione culturale della minoranza che ha già raccolto 250 mila adesioni tra i circa 350 mila tedeschi del circondario. Dice sua moglie Grazina, farmacista: «Avevo sposato un polacco. Una mattina mi sono svegliata scoprendo di avere sposato un tedesco». Guidato dal padre, lo scorso 18 febbraio, Henrik si è presentato candidato alle elezioni per il Senato di Varsavia, ma è stato sconfitto da una signora candidata di Solidàrnosc. «E' stato chiaramente un voto antitedesco — dice in uno stentato tedesco il veterinario —. Ci accusano di essere il cavallo di Troia della grande Germania, la quinta colonna dei pangermanisti di Bonn. Ma non è vero, voghamo solo che i diritti della minoranza vengano rispettati. Certo, sarebbe bello poter spostare le frontiere, ma un conto è quello che vogliamo e un altro ciò che è possibile». E aggiunge, bontà sua: «Non possiamo mica espellere i polacchi che abitano nei 300 chilometri che ci separano da quella che sarà la nuova Germania». Il giovane politico mancato dà torto tanto ai nazionalisti polacchi quanto a quelli tedeschi: gli uni perché vogliono che il confine resti dov'è sulla linea OderNeisse, gli altri perché vogliono che la grande Germania torni su queste terre. «La sola possibilità di vivere in pace è la Casa europea senza confini — dice —. Vogliamo restare qui, non come quinta colonna, non come testa di ponte di Bonn, ma come cittadini con doppia nazionalità. Siamo tedeschi nel cuore, anche se non di lingua». Battagliero è invece il padre, che accusa tutti: i polacchi di avere «venduto» i tedeschi dell'Alta Slesia e quelli del Reich di «averci abbandonati». Per Reich egli intende la Germania Federale, nome che «non significa proprio nulla». Tira fuori un atlante (con i confini del 1937) e quando gli domando cosa pensa delle preoccupazioni polacche per i confini, si adira, se la prende con «i tedeschi che fanno tanto chiasso». Gli domando chi sono questi tedeschi rumorosi, forse i deputati di Bonn Hupka e Czaja che vogliono la grande Germania? Il vecchi^ Kroll si alza di scatto, mi insolentisce, grida: «Nella mia vita non ho mai sentito una domanda più stupida», mi invita a lasciare la sua casa. Mi rincorre, annota il numero di targa dell'automobile, minaccia di denunciarmi se scriverò qualcosa. Diversi giornalisti della Germania Federale sono venuti quaggiù a osservare la rinascita della «isola tedesca» nell'Alta Slesia. Sono preoccupati. «E' terribile — dice uno di loro in attesa dinanzi alla casa di Kroll —. La germanità di questa gente è rimasta ferma al 1945, mostrano con orgoglio le sbiadite fotografie loro e dei padri in uniforme della Wehrmacht e del partito nazista. Molte disgrazie, come l'ultima guerra, sono partite da questa terra. Ma il pericolo non sono loro. Il rischio è che costoro trovino ascolto e si organizzino nella Germania». Tito Sansa Riunione della minoranza tedesca a Gogolin, nella Slesia polacca

Persone citate: Henrik Krull, Hupka, Johann Kroll, Kroll, Krull