Sipario su Pinochet, battesimo per Aylwin di Mimmo Candito

Sipario su Pinochet, battesimo per Aylwin Dopo sedici anni di dittatura in Cile, il potere passa al leader democristiano eletto a dicembre Sipario su Pinochet, battesimo per Aylwin Ma il dittatore resta capo dell'Esercito Qualche tempo fa, sui muri sbrecciati dal vento della casa silenziosa di Pablo Neruda, a Isla Negra, ho letto una frase, scritta a colpi rapidi di vernice nera. Diceva: «Generali, l'amore non muore mai. Allende e Neruda vivono. Un minuto di oscurità non ci fa diventare ciechi». Quel lungo minuto di oscurità oggi è finito. Pinochet se ne va. E che la fine di una dittatura sia anche il risultato della sua stupida presunzione, toglie poco alla festa che la democrazia celebra oggi a Valparaiso. Il diritto è restaurato, questo conta soprattutto; e il Cile di Patrick) Aylwin, eletto nel dicembre scorso, mette da parte, dopo sedici anni, i fantasmi inquieti di un'angoscia che il mondo ha trascinato nella propria coscienza. Quando il generale Augusto Pinochet Ugarte, capo di stato maggiore, l'il settembre del '73 prese il potere rovesciando il governo costituzionale di Salvador Allende, la sua prima frase fu: «Abbiamo fermato il mostro comunista». Aveva gli occhiali neri, Pinochet, una faccia lunga e cupa, e una divisa che lo stringeva al collo come un vecchio fante di Francesco Giuseppe; divenne subito l'iconografia ufficiale delle dittature militari. Quando Pinochet bombardò il Palazzo della Moneda, Allende morì, e una giunta militare prese il potere, la storia dell'America Latina era già ben avviata alla dittatura: il Centro America aveva al potere solo generali, con l'esclusione del Costa Rica, e nel resto del mondo ispanoamericano c'erano già i generali tecnocrati del Brasile, quelli nazionalisti del Perù, i militari feroci di Montevideo, la glaciale retorica di Banzer, il vecchio intoccabile Stroessner. Mancavano solo Videla e soci, con il loro tragico bilancio di torture e di desaparecidos: sarebbero arrivati da lì a tre anni, nello sfascio del peronismo. Pinochet, il cui golpe era stato favorito da un massiccio intervento politico e finanziario della Cia, raccoglieva però anche la domanda e la sollecitazione che arrivavano da una quota rilevante della società cilena, quel terzo storico che sempre in Cile si è manifestato con la difesa di interessi pesantemente conservativi, ostili a qualsiasi progetto riformista. Il golpe aveva radici e sostegno sociale, perché Allende, che era diventato presidente grazie all'appoggio parlamentare dei democristiani, rompeva le certezze consolidate dello schema trinario e poneva concretamente il problema di una conquista popolare del potere dal basso. Si vide che erano illusioni. Gli Stati Uniti e la reazione interna coinvolsero un corpo delle forze armate che aveva sempre dimostrato fedeltà ai poteri costituzionali. Pinochet appariva ancora, a quel tempo, la rap¬ presentazione più persuasiva del ruolo legittimo dell'istituzione militare: era rigido, scrupoloso, fedele, severissimo verso ogni insubordinazione, attento a custodire i valori di una tradizione che nasceva dalla stessa formazione prussiana dell'esercito cileno. L'ammiraglio Merino riuscì a convincerlo, alla fine, col fantasma del mostro rosso. Pinochet, che in tutti questi anni si è detto inviato e unto del Signore per fermare la minaccia del comunismo, scelse il suo campo di lotta e guidò la crociata. La lettura della lenta ma netta trasformazione sociale imposta dal nuovo regime era incerta, approssimativa, mistificante; parlava di un popolo in lotta, e di una sollevazione sempre imminente, mentre in realtà la stanchezza aveva vinto amaramente sulla capacità di resistenza e il distacco tra gruppo dirigente e base sociale si consumava nella disgregazione delle vecchie identità politiche. Restò solo la Chiesa a proteggere la speranza. Tra i moderati, riuniti attorno al progetto egemone della de, e gli oltranzisti, attaccati a un pc che si mostrava sempre più sclerotizzato, il dialogo si faceva difficile, aspro, fino a trovare il punto di rottura sulle scelte e sulle ragioni della lotta armata. Pinochet fece approvare la Costituzione dell'81, che istituzionalizzava il suo regime militare, e aprì il sistema economico alle pratiche più spregiucate del liberismo dei Chicago Boys, senza scontri sociali, in un cimitero di silenzi e di rabbia soffocata, ma anche di nuove ricchezze e di speranze diffuse di un nuovo benessere; il Paese ha diversificato le sue capacità produttive e ha creato un nuovo tessuto economico, più moderno, più competitivo. Il costo sociale è stato altissimo: oggi il 40 per cento della popolazione vive al di sotto del livello della povertà, e di fatto la tripartizione storica della società si è ridotta a un bipolarismo rigido, di quelli che partecipano alla distribuzione della nuova ric¬ chezza e degli altri che ne sono esclusi. Poi c'è stato l'errore che è costato il posto al vecchio generale presuntuoso. Il plebiscito ha riawiato il meccanismo nella politica, e ha recuperato le radici della ragionevolezza in un Paese che era stato sempre un modello di partecipazione e di consapevolezza politica, una nazione dove l'indice di lettura era, prima del dittatore, il più alto dell'intera America Latina. Pinochet è stato battuto, ma non travolto: un appoggio del 42 per cento degli elettori disegna comunque, al di là dei conformismi e delle paure, l'adesione di una larga parte della società al suo modello di autoritarismo, ancora dopo sedici anni di dittatura. E il generale se ne è servito per costruire, in questi ultimi mesi, attorno al nuovo governo democratico, una gabbia di leggi e d'impedimenti che sottraggono al gabinetto di Aylwin larga parte della sua sovranità e fanno delle forze armate un potere costituzionale autonomo, parallelo al potere legittimo. Governare sarà difficile. Le concessioni da fare a una larga parte della società, perché recuperi una dignità di reddito dopo tanti duri anni di repressione sindacale, rischieranno di far saltare gli equilibri del sistema economico. Nello stadio Nazionale, dove oggi sarà tenuta la parte più spettacolare del cerimoniale, saranno presenti anche i fantasmi di 2014 morti, di 975 giustiziati, dei 1272 torturati che hanno trovato il coraggio della denuncia, di 677 desaparecidos. La coscienza del nuovo governo non potrà ignorarli. Pinochet se ne va, arriva Aylwin. Al tempo del golpe, Aylwin era presidente della de; con il suo avallo, sanzionò una legittimazione politica della ribellione militare e impedì la compattezza della condanna internazionale. Che sia ora lui a chiudere un ciclo amaro di errori pare una catarsi drammatica della storia. Mimmo Candito Il generale Augusto Pinochet oggi lascerà il Palazzo de La Moneda