Affonda l'appello di Pontida

La Repubblica presidenziale di Craxi non ha l'appoggio di Andreotti La Repubblica presidenziale di Craxi non ha l'appoggio di Andreotti Affonda l'appello di Pontida Timori nelpli e no dei socialdemocratici USTE VERDI ROMA. Il giuramento di Pontida è andato a cozzare contro il codicillo di Isernia, che così sentenzia: «Non è necessario guardare ai modelli esteri che, una volta calati nella nostra realtà, potrebbero risultare inefficaci». Sono parole di Andreotti, in chiara risposta al rilancio della Repubblica presidenziale compiuto solennemente da Craxi sabato, nell'abbazia dove la tradizione colloca il formarsi della Lega lombarda, nel 1167. Più prosaicamente, il presidente del Consiglio ha invece parlato ieri ad Isernia, nel ventennale di fondazione di quella provincia. E col tono un po' curiale e dimesso che gli è solito, Andreotti ha confermato tutti i freni che la de ha sempre opposto ai progetti di seconda Repubblica del pur deciso alleato. «Non bisogna buttare a mare l'attuale sistema senza averne creato uno migliore», ammonisce, aggiungendo che anzi «dobbiamo essere grati» a questa nostra Repubblica parlamentare, «e anche alla proporzionale», perché ci ha consentito diverse conquiste: «L'Italia è ora un Paese economicamente vaiiao; aobiamo le esigenze di una nazione che ha avuto un grande sviluppo e che si trova in un certo contesto internazionale». Perché rincorrere chimere francesi o gorbacioviane? In procinto di partir per le Americhe, in un viaggio di Stato a tappe che lo porterà dal Poto- CORTONA. Dopo un lungo e infuocato dibattito l'assemblea della federazione delle liste verdi riunita a Cortona ha approvato, con 169 voti, la mozione presentata da Alfonso Pecoraro Scanio ed altri che prevede la costituzione di un coordinamento tecnico regionale titolare delle liste unitarie e del simbolo per le prossime amministrative del 6 maggio. In sostanza è prevalsa la linea a favore del localismo che affida alla federazione ogni potere decisionale in merito alle liste. Ciò significa che il simbolo non viene congelato e con la scritta «Verdi per...» si presenterà alle elezioni di maggio con chi vorrà confluire. La «mozione Pecoraro» è stata messa in ballot¬ è che son trascorsi diversi anni da quando la commissione Bozzi terminò i suoi lavori proponendo al Parlamento un piano articolato di riforme per adeguare le istituzioni alle esigenze dei tempi. Ma da allora, fa notare alquanto scettico il segretario del pli, «il grande fervore riformatore ha partorito solo l'introduzione del voto palese che, non accompagnato da altre incisive innovazioni, ha prodotto ben pochi miglioramenti nel lavoro del Parlamento». La risposta liberale al «programma di Pontida» è dunque permeata di un comprensibile timore: «Non vorremmo che il rilanciare grandi disegni di riassetto complessivo potesse di fatto, ben al di là delle intenzioni dei proponenti, rischiare di bloccare anche quello che di utile e di concreto sembra ormai finalmente approdato nell'agenda dei lavori parlamentari, e cioè la indispensabile riforma dei regolamenti». Insomma, badiamo alle piccole cose concrete, sembra suggerire Altissimo. Molto più secco e stringato suona infine Cariglia: sì, va riaperta la stagione delle riforme istituzionali, ma «non siamo d'accordo con la proposta di una Repubblica presidenziale», ha semplicemente detto il segretario del psdi parlando prima a Rovigo e poi a Firenze. ger e Wills, la condotta è consona al personaggio: fisiologicamen, Bush è 1 ago della bilancia, il mediatore, si sente manager- non. ideologo. Ma in parte, aggiungono i due storici, essa è altresì l'effetto di un inquietante rifiuto del Presidente a uscire dagli schemi della fine della guerra. «Se il problema sono gli strumenti economici — ha detto Wills — basta avviare un disarmo serio Usa-Urss, come Gorbaciov vorrebbe. Ma Bush si oppone. Il Presidente misura ancora la superpotenza in termini innanzitutto militari». Questa analisi Bush non l'ha smentita. Dopo la sconfitta sandinista alle elezioni in Nicaragua, gli hanno chiesto perché gli Stati Uniti continuino a riarmarsi, con armi costose come le guerre stellari, il supermissile mobile Mx, il bombardiere atomico invisibile, quando non hanno più nemici. «Il nemico c'è — ha ribattuto Bush — è l'instabilità, è l'incertezza». Per un paradosso dalla storia, nel '90, il Presidente che ha vinto la pace rifiuta di seguire la strada scelta nel '45 da Truman, il Presidente che vinse la guerra: quella della drastica riduzione degli armamenti, che giovò al Paese e che devolse risorse al piano Marshall senza minare il riarmo successivo contro l'aggressione stalinista. Nel momento in cui l'Urss si ritira dall'Est europeo e i suoi coscritti si sottraggono al servizio di leva, gli Usa minacciano di restare gli ultimi militaristi. A intervalli irregolari, rovesciando i ruoli ricoperti fino a ieri, il Cremlino accusa Bush di «nutrire ancora una mentalità da guerra fredda... e di soccombere a tentazioni imperiali» (si vedano l'invasione di Panama e il tentativo fallito di mandare le cannoniere contro i narcotrafficanti). Schlesinger e Wills respingono le accuse. Essi pensano che Bush, un uomo che aborre dalle imprudenze, non voglia invece essere ricordato come il Presidente che sguarnì le difese americane; e che non riesca a prendere atto che la super potenza «si misura ora sul metro finanziario e industriale». Ma i due storici, e una fetta crescente degli opinion makers americani, coloro che influenzano l'opinione pubblica, sono d'accordo che Bush in questo modo potrebbe causare danno non solo all'Europa e ai rapporti Est-Ovest, ma anche agli Stati Uniti. A poco a poco, egli rischia di delegare la leadership internazionale alle nuove realtà emergenti, la Cee, punto di riferimento dell'ex blocco sovietico, e il Giappone, cassiere del mondo. Rischia inoltre un grave ritardo nelle riforme inter¬ Gianni Pennacchi