«Giù le armi altrimenti sarà guerra civile» di Mimmo Candito
«Giù le armi altrimenti sarà guerra civile» NICARAGUA Discorso infuocato del presidente uscente: «Usa e Honduras non mantengono le promesse» «Giù le armi altrimenti sarà guerra civile» Ortega è pronto a cedere ilpotere se i contras disarmano MANAGUA DAL NOSTRO INVIATO Lampi di guerra sono riapparsi, ieri, nei cieli del Nicaragua. «C'è la calma che precede la tempesta», diceva Daniel Ortega, parlando a una piazza gremita di folla e di bandiere. «E' la tempesta della guerra civile e dell'insurrezione. Se non vogliamo che esploda su di noi, i contras devono essere disarmati». Lo abbiamo incontrato per qualche attimo sotto il palco, mentre passava. «La situazione è molto tesa, e complicata. E se i contras non cederanno le armi prima del 25 aprile, io non posso garantire un passaggio di poteri tranquillo e normale». Le stesse parole le ha ripetute qualche attimo dopo, dall'alto del palco, con un'accentuazione vigorosa dei rischi di una esplosione generalizzata della violenza. «Ci sono migliaia di armi nelle mani del nostro popolo. Se i contras non lasceranno le loro, non ci resterà che unirci tutti, per finirla, noi, con i contras. Non ho nessun dubbio che i nicaraguensi impugnerebbero in massa le armi, per distruggere questi banditi». La minaccia dello scontro non si era mai spinta fino a questo punto, e finora tutti i leaders, Ortega e gli altri comandanti, ma anche dona Violeta, avevano toccato soltanto il tasto della moderazione, il dovere comune di una riconciliazione. La svolta, drammatica, preoccupante, è stata determinata dalla delusione per l'incontro dell'altro ieri, in Honduras, degli emissari di dona Violeta e del cardinale Obando con i tre comandanti dei contras, alla presenza di un funzionario della Cia e di un inviato del Dipartimento di Stato. Qui, a Managua, ci si aspettava un primo risultato politico. Jaime Cuadra, il rappresentante personale della signora Chamorro, ha invece smontato l'ottimismo: «E' stata una visita di cortesia. Non abbiamo trattato nessuna questione relativa alla smobilitazione dei contras». Questa frase raggelante, unita alle pa¬ role del comandante dei contras « Johnny» Sanchez, che «fin che un solo fucile resterà nelle mani dei sandinisti, noi non cederemo nemmeno un solo fucile dei nostri», ha rabbuiato il corso pacifico della transizione. Abbiamo chiesto un commento all'ambasciata americana e ci è stato detto che la sola fonte di commenti è la portavoce del Dipartimento di Stato, Margareth Tutwiller. E ieri la signora Tutwiller ha dichiarato: «I sandinisti non possono fare le due cose contemporaneamente, parlare di pace e minacciare la guerra». Un rapporto della Cia assicura che in questi giorni i sandinisti stanno procedendo a una massiccia distribuzione clandestina di armi, e ieri ci assicurava che «così è, senza dubbio», anche il vicepresidente della Confindustria, Ramiro Gurdiàn; il comandante del Fronte sandinista, Monica Baltodano, ci ha detto invece: «Sono le solite provocazioni della Cia, il Dipartimento di Stato sa benissimo che non c'è una sola parola di verità. Perché non procedono piuttosto, loro, a disarmare i contras, secondo quanto stabilisce l'accordo di Tela?». Quest'accordo, firmato da tutti i presidenti centroamericani, impegnava il Nicaragua a tenere elezioni politiche e gli altri Paesi a smantellare le formazioni dei contras. Gridava ieri alla folla Ortega: «Noi le elezioni le abbiamo tenute, e ne accettiamo il risultato. Gli Usa, invece, e l'Honduras, non mantengono la loro parola: l'Honduras non ha fatto nulla per scacciare i contras e il presidente Bush, che si era impegnato a disarmarli dopo le elezioni, ora tace. Sono complici della guerra civile». «La tempesta si avvicina» gridava Daniel. Ma più che una minaccia, appariva come un avvertimento. E aggiungeva: «Se però gli impegni saranno rispettati, se sarà rispettata l'integrità dell'esercito e della polizia, io consegnerò alla signora Chamorro le chiavi del Palazzo del governo». Mimmo Candito Il leader sandinista Daniel Ortega
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