Parlano i Contras,10 mila vincitori licenziati di Mimmo Candito

Parlano i Contras,10 mila vincitori licenziati NICARAGUA Delusione, orgoglio, fame, rivalità inteme: come per i loro nemici sandinisti oggi la paura si chiama futuro Parlano i Contras,10 mila vincitori licenziati Violeta li vuole fuori anche dall'esercito e Bush non scucirà più un dollaro MANAGUA DAL NOSTRO INVIATO Le notti di Managua hanno risvegli bruschi, inquieti. Le raffiche di un mitra tagliano il buio da qualche parte. Da quando la rivoluzione sandinista è stata battuta, nell'ultima domenica di febbraio, gli spari della notte sono stati un accompagnamento puntuale, misterioso. Dice Gioconda Belli, là più nota scrittrice di questo piccolo mondo schiacciato dalla guerra: «La vendetta ci richiama al dovere della consapevolezza, fa paura soprattutto perché non ha un nome né una faccia. E' il mostro del nostro passato comune». Ma è anche vero che questo mostro un nome ce l'ha. Si chiama Centra, e il suo corpo sono i 12 mila guerriglieri antisandinisti acquartierati alla frontiera con l'Honduras o nascosti nella giungla che si arrampica sulle montagne di Matagalpa fino al Rio Grande. Come in un film dell'orrore, bisogna aspettare la fine della storia, che sarà il 25 aprile, quando dona Violeta prenderà ufficialmente il potere e si scatenerà la lunga notte dei coltelli. Seduto sul bordo della piscina dell'Intercontinentàl, il comandante Tomàs Borge, guerrigliero, ministro dell Interno, scrittore anche lui, scuote' leggermente la testa. «Ma non è detto che la fine sia davvero arrivata. Noi siamo come il granchio, che cambia scorza e pelle e però non muore». Al Nord, lontano un paio di centinaia di chilometri, i Contras aspettano. Il loro nuovo comandante è Israel «Franklin» Galeano, 29 anni, una storia quasi tutta di guerra e di morti. Dice «Fernando», che ha gli stessi anni e la stessa faccia di Franklin: «E' uno come noi, uno che ha combattuto sempre, non come i politici che c'erano prima, corrotti, viziosi, soltanto guardie di Somoza». Un mese fa, con un colpo improvviso di mano, i giovani colonnelli hanno buttato fuori Bermudez e il vecchio stato maggiore dei Contras prendendo in mano il loro destino. «Ma ormai è tardi — dice Fernando —: non serve più». Fernando è il nome di battaglia del comandante dei Contras Diógenes Hernàndez, e da un mese vive qui, a Managua, in una piccola casa di periferia insieme a Tirso «Rigoberto» Moreno, Cesar «Dimas» Chavarria e Victor «Licenziado» Sànchez. I quattro comandavano più della metà dell'intero esercito Contra, e venti mesi fa si ribellarono ai traffici sporchi di quelli che dicevano di lottare per la libertà ma intanto curavano i loro comodi ozi nei cabaret di Miami. «Siamo andati fi- no in Honduras, a Yamales, dove ci sono i nostri accampamenti, e io ho chiesto di parlare con l'ufficiale di collegamento della Cia e con Bermudez. Quello della Cia mi è stato ad ascoltare, quando gli spiegavo come i combattenti fossero insoddisfatti e di come invece lo Stato maggiore se la spassasse; poi mi ha detto che mi avrebbe fatto avere una risposta di Bush. La risposta non è mai arrivata, e invece un giorno i militari honduregni mi hanno preso, mi hanno sbattuto due notti in galera e poi mi hanno caricato su di un aereo diretto a Miami. E ai miei compagni che protestavano hanno riferito, per conto della Cia, che se non se ne stavano buoni li avrebbero mandati via anche loro, però consegnandoli ai sandinisti». Un mese fa i quattro hanno deciso che bisognava finirla, e sono rientrati in patria accettando la legge dell'amnistia. Ma che strana guerra, questa, dove i vecchi nemici si trovano ora a Managua sotto la protezione di quelli che fino a ieri cercavano di ammazzare. E che strana pace, questa, dove un esercito di diecimila disperati sa bene che gli Usa non sborseranno più una lira, ma intanto va dicendo che no, che loro non smobiliteranno finché i sandinisti non se ne siano andati davvero, e per sempre, dal potere. Tomàs Borge scuote ancora la testa. «Il Nicaragua potrebbe diventare ingovernabile, la catena delle vendette ha maglie che nessuno sa rompere». L'ossessione delle armi è la più disperata eredità di questa guerra. Ci sono armi dappertutto, e tutti hanno armi. Dice Borge: «Il nostro governo ha mostrato molta responsabilità, quello che deve venire dovrà saper fare altrettanto. L'esercito è un esercito sandinista, lo dice la Costituzione». I sandinisti dicono che questo esercito non può essere smantellato. E vogliono dire che questa è anche la loro unica e reale difesa, quando il Fronte avrà lasciato la Casa de Gobierno. Ma i Contras dicono anche loro che, se i 75 mila sandinisti non lasciano le armi alle caserme, tutto il processo elettorale è stato solo una farsa. Il braccio di ferro continua. Doà Violeta ieri ha mandato una sua commissione a negoziare definitivamente con que- sti ribelli, che rifiutano di accettare il suo ordine di.smobilitazione. Almeno, di accettarlo per ora: il 25 aprile deporranno infatti le armi, comunica un loro portavoce. La commissione è partita accompagnata dalla benedizione del cardinale e da due suoi emissari di pace. Dona Violeta in un'intervista fa sapere che vuole tenere i Contras fuori dal nuovo governo e anche dall'esercito, anzi ha promesso a Ortega di smantellare quanto prima le loro basi. «Senza gli aiuti americani, non possono durare più di due mesi», dice Rigoberto. E allora, o cedono per sempre, o diventano bandoleros disperati che insanguineranno il futuro difficile del Paese. Ieri sera è arrivato a Yamales anche un inviato della Cia. Alla fine, sarà lui a dire l'ultima parola, quella che conta. Mimmo Candito * 1M Violeta Chamorro, uscita vincitrice dal duello con Ortega, sta affrontando la sfida più difficile: pacificare un Paese dilaniato da anni di guerra civile.